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Ali Shari’ati, tra umanesimo islamico e protestantesimo

Pubblichiamo la seconda parte dell’intervento di Stefano Barocci. Le prima parte si può leggere qui.

Ancora due concetti cari al filosofo sociale di Mashhad ritrovati già negli studi in Iran e poi corroborati dall’esperienza parigina: quello di un umanesimo islamico ed un paragone con il protestantesimo e la modernità in Europa. Siamo in rotta di collisione con i dogmatici wahabiti e con gli intransigenti salafiti che non sono disposti a mettere l’Uomo accanto a Dio in nessun modo e, pur riconoscendo la carica liberatrice del messaggio islamico, non portano sull’uomo l’attenzione degli scritti del Profeta.

VICINANZA CON LE ALTRE RELIGIONI

Shari’ati riconosce nella Riforma protestante il motore del superamento della stasi medievale e il déclenchement della esuberante rinascita che porta alla modernità e giunge ad una asserzione che è spartiacque del suo pensiero islamico nei confronti di coloro che considerano, e non sono pochi, la modernità come corruzione ed arrendevolezza, dimenticando di suggerire una via diversa percorribile per reagire al declino.
Rimane legato, più per intima riflessione che per tradizione acquisita, alla dimensione multi-vettoriale impressa alla storia che il messianesimo mahdista instilla con le sue coordinate teleologiche ed escatologiche, non evitando di coniugare “amore e sacrificio”, concetti che lo avvicinano tangenzialmente al sentire cristiano più autentico.

COMPRENSIONE DELL’OCCIDENTE

Si legò a Parigi ad una cerchia molto dinamica di intellettuali da Sartre a Fanon, da Gurevitch a Massignon, ma è con quest’ultimo, islamista francese di convinzioni cattoliche, che realizzò un sodalizio formante e performante. Comprese l’Occidente, i suoi apici ed il suo tormento e poi tornò a riflettere sul  mondo islamico, aprendo e contaminando il suo sapere come appare subito dagli scritti parigini ed in quelli dopo il rientro in Iran. Non c’era niente di più lontano da un certo cattolicesimo,  in specie di ispirazione francese, delle idee di sviluppo e modernità di Shari’ati eppure in Massignon egli trovò la quadratura del cerchio, quello che fa tanto assomigliare alcuni aspetti dei Vangeli alla mistica e alla fenomenologia della Shia. L’uomo buono, il maestro incorruttibile, la guida verso le vette della conoscenza era cattolico e non musulmano, differenza che Shari’ati non vedeva quasi più.

LA PARENTESI PARIGINA

Arrivato a Parigi dapprima osservò il comportamento della comunità iraniana degli studenti e degli esiliati, successivamente si concentrò sui francesi, rimarcando l’abuso della libertà dei giovani ma anche l’intensa attività delle scuole cattoliche nel campo sociale ed educativo, che veniva comparando sempre con quella delle  Fondazioni (Bonyad) e associazioni islamiche nel suo Paese. Passò ben presto da una posizione di sospetto nel confronto tra Oriente ed Occidente ad una visione universale in cui si permetteva di essere “stupito” sia di fronte ad Abu Dharr che a Charlie Chaplin.

E sviluppava un rinnovato interesse per il Terzo Mondo, per le classi sociali e la loro dinamica e per l’attivismo politico degli intellettuali, in particolare di quelli iraniani a Parigi che criticava; essi, opponendosi al regime dello Shah, dialogavano tra loro sui massimi sistemi abbeverandosi alle fonti occidentali e dimenticando che la gente dei villaggi, delle montagne e delle oasi vuole ascoltare concetti semplici espressi nella lingua locale.

C’era in lui un andare e venire dalla militanza – anche cambiamenti negli approcci di resistenza al regime dello Shah – che convivevano con lo studio profondo della gnosi attraverso il quale arrivò alla convinzione della necessaria ”separazione tra religione e tradizione” con un sentiero originale per le società islamiche che si incamminano verso la modernità, procedendo parallelamente all’Occidente.

LA COLLABORAZIONE CON MASSIGNON

Ed è nel pieno di questo fermento culturale e politico che il fondamentale incontro con Louis Massignon, di cui ammirava lo spessore umano e culturale e che gli fu guida nell’universalizzazione del suo pensiero, diede mirabili frutti di sintesi. Con Massignon collaborò strettamente nel 1960-62, tradusse in farsi il suo lavoro su Salman il persiano, additando in Iran la grande erudizione e assoluta imparzialità del suo maestro. Fu attaccato dai Mullah e dai comunisti con uguale veemenza, anche se per motivi diversi.

Come si dirà più avanti è di questo periodo la riflessione sulla donna islamica e sulla sua dignità da ricercare nella storia “vera” dell’Islam; la collaborazione con Massignon negli studi su Fatima lo portarono poi a scrivere il libro “Fatima è Fatima”, sintesi delle sue riflessioni sulla donna e sulla società islamica.  Shari’ati  giunge a dire che considerava l’incontro con Massignon  non casuale, quasi un segno, e che, reciprocamente a quanto accadde al suo maestro durante una passeggiata sulle rive del Tigri, a lui l’incontro con Massignon permise di comprendere a fondo il senso della sua religione islamica, il senso universale della religione.

IL RITORNO IN PATRIA

Nel ritornare in Patria si espresse con la celebre frase “l’Islam dei dotti è un oceano profondo pochi centimetri”,  che in modo differenziato gli inimicò subito la gerarchia sciita, il Tudeh (che lo derideva chiedendogli che “doni”  intellettuali avesse portato dall’Europa) e l’apparato oppressivo dello Shah, il quale aveva solo provveduto ad una apertura ai costumi occidentali, ad una modernizzazione mal interpretata e ad una laicizzazione che contrastava non solo con il pensiero del clero sciita ma anche con un sentimento religioso più diffuso di quanto lo sia oggi nell’Iran reale post-islamico.

Ma aveva un progetto socio-politico per il quale sacrificarsi, quello di “utilizzare” l’Islam come volano per portare a livello divulgativo ampio gli insegnamenti tratti dal soggiorno europeo e di mettere in cantiere la rottura tra tradizionalismo, ritualismo e religione per indirizzare la società islamica, con le risorse sue proprie, nel cammino verso la libertà, la lotta al colonialismo, l’umanesimo.

IL RUOLO DELLE DONNE

Sono molti coloro che conoscono i diritti e le prerogative delle donne nell’Islam ma poi seguono nella prassi quotidiana tradizioni antiche e persino non islamiche. Shari’ati boccia come inadeguati tanto gli stereotipi seguiti da alcuni ceti medio-orientali che scimmiottano il modernismo occidentale, quanto inadeguati ed illogici i meccanismi messi in atto dai tradizionalisti per contrastarli. Una corretta analisi della storia e della cultura islamiche fornirebbe la migliore risposta alla sfida della liberazione femminile come è vista dall’Occidente.

Shari’ati spiegava ai suoi studenti quello che era avvenuto in Europa nel dopoguerra e come la questione femminile fosse diventata centrale. In realtà anche prima della guerra era in atto in Occidente un conflitto con le impostazioni della Chiesa Cattolica il cui magistero attribuiva grande importanza ai diritti delle donne, affiancando a questi in modo contraddittorio anche visioni di chiusura, restrittive e antifemminili.
La moderna borghesia ed il suo “cantore” Freud hanno messo al centro della loro analisi l’economia e la sessualità, e non solo hanno tentato di imporlo in Medio Oriente con la colonizzazione, ma lo hanno sovraimposto anche in Occidente. La violenza e la sessualità prevalgono nei film di produzione europea ed occidentale e si presentano anche in Medio Oriente, a mala pena trattenuti da operazioni di censura preventiva. Inoltre, si chiede argutamente Shari’ati, nonostante le rilevazioni satellitari, come sia possibile che tanti narcotici continuino a passare dall’Oriente all’Occidente?

NON CONFONDERE TRADIZIONE E RELIGIONE

Confondere tradizione e religione è gravissimo e fa il gioco del consumismo, dell’attrazione verso gli estremi della modernità, dei “mercanti di Dio” e dell’interpretazione borghese e freudiana della realtà contemporanea. Eppure gli esempi non mancherebbero nella tradizione dell’Islam e qui Shari’ati cita quelli di Fatima, figlia del Profeta e moglie di Ali, di Zeynab, figlia di Fatima e sorella di Husayn, e delle donne della battaglia di Siffin che vedeva contrapposti Ali ed il futuro califfo Umayyade, Muawiyah,  raggiungendo l’apoteosi:  la donna nel vero Islam è impegnata nel pubblico, nel sociale, nelle moschee, nella famiglia e nella politica. Si può capire che tanti gli si rivoltassero contro!  Né la donna dell’Occidente, che subisce un contesto sessista e violento e solleva una legittima questione di genere, né quella della tradizione tribale e pre-islamica sono la donna dell’Islam! Nella storia islamica il ruolo delle donne è stato sempre di primo piano, con punte di talento eccelso nelle arti, nel sociale e nella scienza.

LA TERZA VIA

La riflessione sulla donna islamica, la sua emancipazione e partecipazione sono la chiave di volta per spiegare la sua” terza via” alla modernità nell’Islam che recupera una tradizione culturale gloriosa e si solleva dalle miserie degli anni ’70 e, diciamolo pure, da quelle del XXI secolo con le cosiddette “primavere arabe” che hanno sinora portato ad equilibri precari e scarsamente innovativi.

Dopo aver previsto la deriva islamica violenta e terrorista, dopo aver condannato un’emulazione pedissequa dei  modelli dell’Occidente, in crisi profonda esso stesso e comunque con il quale dialogare alla pari, dopo aver condannato un Islam di facciata usato per conservare il potere, Shari’ati  rivendica il fattore dominante del messaggio islamico nella liberazione dell’uomo dalla sottomissione ad altri uomini, anche se ispirati o ricchi o potenti.

UNA SOCIETÀ REALE, NON UTOPICA

La società descritta da Shari’ati non è una utopia: non si è realizzata compiutamente né negli Stati a maggioranza sunnita né nella Repubblica Islamica dell’Iran che non fece in tempo a vedere. Alberga però nel cuore e nell’intelletto di ogni uomo di fede, quel pio musulmano che è capace di leggere il Corano e  di non  lasciarlo interpretare da sovrani secolari o da dotti ulama che sono al potere o vicini al potere.
Le primavere arabe, comunque le si voglia interpretare, sono il segno di un fermento civile soprattutto, e se religioso comunque non fondamentalista o aggressivo nei confronti dell’Occidente, fermento che si interpreta come una presenza ed una crescita della società civile islamica, che si apre grazie alle conoscenze scientifiche e tecnologiche, alla globalizzazione delle telecomunicazioni e ad una nuova e autentica lettura, individuale, del Corano. Non disprezza il filosofo di Mashhad il momento comunitario, così centrale nell’Islam come anche nel Cristianesimo, ma il suo concetto di comunità è più ampio, universale e includente, e prelude alla tolleranza e al rispetto profondo.

La Protesta religiosa europea gli sembrerebbe indicare la via verso la  modernità dell’Islam: come quella diede l’abbrivio per lo sviluppo culturale e scientifico e per le conquiste del Rinascimento, il distacco cosciente nel mondo musulmano di tradizione, ritualismo e religione costituirebbe l’avvio della modernità e l’abbandono di schemi obsoleti e reazionari.

Testimoni dell’epoca ed amici di Shari’ati riportano che alle sue lezioni i partecipanti erano ammirati e nessuno pensava che fosse un utopista o un visionario. Diverse sue originali idee, come si è detto, furono abilmente utilizzate da Khomeyni (che concesse il voto alle donne nonostante le forti ritrosie del clero militante) e da altri epigoni della rivoluzione islamica, ma la portata delle elaborazioni del pensatore di Mashhad vanno ben oltre i semplici destini dell’attuale Iran.  D’altra parte è Shari’ati stesso che spiega perché la società islamica che lui descrive non si è realizzata: la confusione tra tradizione e religione, tra religione e potere e la interazione con il mondo esterno (si pensi solo al colonialismo) hanno frenato il processo di realizzazione di una società islamica democratica e tollerante. Ma la volontà di Dio, e quella degli esseri che Egli ha creato, tenderà inevitabilmente a realizzarla.



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