La difesa del pianeta ha un costo: mentre i maggiori Paesi del mondo negoziano a Bonn il documento preparatorio per l’accordo sul clima che si spera venga siglato alla conferenza Onu COP21 a Parigi, le nazioni ricche cominciano a calcolare quale sarà il prezzo da pagare per stringere la storica intesa sul taglio delle emissioni.
I Paesi emergenti infatti, guidati da Cina e India, dicono di riconoscere che il cambiamento climatico è un problema reale che va affrontato, ma non vogliono rischiare di rallentare la propria crescita e chiedono che le misure anti-CO2 che si pretendono dai Paesi in via di sviluppo siano diverse da quelle richieste ai Paesi ricchi. E vogliono soldi, necessari a finanziare le misure per ridurre le emissioni e sviluppare nuove fonti di energia.
CENTO MILIARDI L’ANNO
Cina, India e gli altri Paesi emergenti vorrebbero che i Paesi avanzati sbloccassero fondi per circa 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020, onorando l’impegno informale preso a Copenaghen nel 2009. La loro tesi è che l’inquinamento e il riscaldamento delle temperature sono stati causati dai Paesi avanzati, quindi sono loro a dover pagare principalmente per ovviare alle conseguenze. Secondo Cina e India, si tratta di contributi “differenziati” a seconda dei diversi Paesi, ma ai negoziati Onu sul clima alcuni Paesi in via di sviluppo si sono spinti fino a sostenere che la cifra debba arrivare interamente dalle casse dei Paesi sviluppati.
Questo nodo rischia di far naufragare la conferenza sul clima di Parigi se non si trova un modo efficace per scioglierlo. I ricercatori del World Resources Institute sostengono in un nuovo studio che “chiarezza, impegno forte e fonti diverse di finanziamento” sono necessari per centrare l’obiettivo dei 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020 e aiutare i Paesi “vulnerabili” ad affrontare il cambiamento climatico. I soli budget pubblici per il clima dei Paesi ricchi non bastano: occorrono anche investimenti privati e il supporto delle banche di sviluppo. Contando solo sui soldi pubblici, infatti, i Paesi ricchi dovrebbero potenziare lo stanziamento di fondi per il clima del 25% ciascuno rispetto ai livelli del 2012.
“Ovviamente questo non è impossibile se c’è la volontà di investire tanto, ma finora i Paesi ricchi non hanno accresciuto i loro fondi destinati al clima a questi ritmi”, scrive l’esperto finanze del WRI Michael Westphal, autore principale del paper che delinea i possibili scenari verso il target dei 100 miliardi di dollari annui e che l’istituto ha rilasciato proprio in concomitanza con l’incontro sul clima in corso a Bonn.
SCENARI
“Cento miliardi di dollari non bastano a trasformare l’economia mondiale in un regime low-carbon ma sono sufficienti a dimostrare l’impegno delle nazioni ricche a investire per affrontare i cambiamenti climatici”, dichiara Athena Ballesteros, direttore della sustainable finance initiative del World Resources Institute.
A pagare dovranno dunque essere sostanzialmente i Paesi avanzati, ma con un mix di sistemi: per raggiungere il target dei 100 miliardi i ricercatori suggeriscono di usare una combinazione di fondi per il clima, compreso il sostegno di banche di sviluppo multilaterali, investimenti del settore privato e aiuti allo sviluppo. L’unione di queste fonti potrebbe far arrivare i fondi a disposizione a 109-155 miliardi di dollari nel 2020, ma è importante, afferma Westphal, che si decida ora come raggiungere l’obiettivo, siglando un’intesa alla conferenza sul clima di Parigi.
Quando venne formulato a Copenhagen il primo impegno (non vincolante) sui fondi da destinare al cambiamento climatico, l’accordo diceva che i 100 miliardi sarebbero dovuti arrivare “da una molteplicità di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, comprese fonti di finanza alternative”. Da allora però non si è fatto molto per chiarire come raggiungere l’obiettivo. Ora occorre sciogliere il nodo “e i Paesi dovranno incontrarsi a metà strada”, sostiene il WRI. “Non ci sarà accordo a Parigi sul clima senza un accordo sugli investimenti”, ha dichiarato Pascal Canfin, consulente senior sul clima del WRI.
CIFRE ALLA MANO
Nel 2012 i Paesi sviluppati hanno contribuito con soldi pubblici per 17 miliardi di dollari ai fondi sul clima, mentre le banche di sviluppo hanno dato 15 miliardi e altre misure di aiuto allo sviluppo relative al clima hanno pesato per 10 miliardi. Gli investimenti del settore privato (ottenuti tramite prestiti) sono stati compresi tra i 26 e i 42 miliardi di dollari. Contando queste quattro fonti, l’obiettivo dei 100 miliardi si può raggiungere con un basso tasso di crescita delle fonti pubbliche dei fondi per il clima, e bassi investimenti del settore privato, dice la WRI. Se si elimina una delle fonti, ovviamente le altri devono crescere a ritmi più alti. Comunque un aumento del contributo pubblico è sempre necessario.
I Paesi avanzati potrebbero trovare ulteriori fonti di denaro pubblico usando metodi alternativi come le entrate del mercato delle emissioni, tasse sulle transazioni finanziarie, crediti all’export, cancellazione di debiti e riuso dei sussidi per i combustibili fossili, tutti sistemi finora poco sfruttati, dice il WRI.
IL GREEN CLIMATE FUND
Tuttavia per Westphal è preoccupante che in tutti i quattro scenari descritti nel paper crescano più velocemente i soldi per “ridurre le emissioni di gas serra” e molto meno quelli che servono ai Paesi ad “adattarsi ai cambiamenti climatici” già in atto. Il nuovo Green Climate Fund (GCF) dell’Onu intende correggere tale squilibrio che preoccupa molto i Paesi emergenti o vulnerabili. Questi vogliono infatti aiuti per rendere la loro agricoltura e le loro infrastrutture più resistenti a piogge torrenziali, innalzamento del livello dei mari e altri fenomeni estremi causati dal cambiamento del clima. Secondo Westphal anche questo punto andrà chiarito a Parigi per stabilire un rapporto di fiducia tra Paesi ricchi e poveri e favorire il nuovo accordo sul clima.
Ad oggi 33 governi mondiali, di cui otto di Paesi emergenti, si sono impegnati a dare l’equivalente di 10,2 miliardi di dollari per il GCF dell’Onu e 21 hanno già firmato in parte o interamente l’accordo per fornire i soldi. Resta da chiarire come mantenere e accelerare i contributi nel lungo termine.
L’obiettivo del GCF è avere già dei progetti in cantiere da presentare al summit COP21 di Parigi per dimostrare che il fondo funziona e che i Paesi, soprattutto quelli ricchi, hanno veramente messo le loro risorse in campo.