E se sui migranti avessero ragione i francesi? D’accordo, sono sempre i soliti arroganti, agiscono in modo unilaterale, ci trattano senza rispetto. Va bene, l’Unione europea, di fronte a questa grande questione epocale, si mostra disunita e mette in luce tutti i suoi geni egoisti. I leader politici si rivelano quel che sono: amministratori di condominio preoccupati di perdere lo stipendio se qualche “millesimo” s’abbandona al turpiloquio. Tutto questo lo sappiamo ed è terribile. Non è in gioco solo l’altruismo e la solidarietà, principi alti, di natura etica, ma anche la base mercantile sulla quale era nato il Mec poi diventato Cee e Ue: la reciprocità, io dò una cosa a te, tu dai una cosa a me, il meccanismo dello scambio da quando l’umanità è uscita dalle caverne.
Detto questo, faremmo bene a chiederci se le critiche, anzi le accuse, di Parigi non rivelano il grande buco nel quale il governo di Roma è caduto. Piero Fassino a Radio 1 ha spiegato che la colpa è delle regioni. Lui, come sindaco di Torino e presidente dell’Anci difende i comuni ovviamente, ma ha rivelato un punto importante. Nel marzo scorso il governo aveva deciso di affrontare l’ondata migratoria creando un filtro: le persone salvate dai barconi della morte sarebbero state smistate in centri regionali, poi inviate in piccoli gruppi nei comuni che nel frattempo avrebbero preparato ostelli, punti di accoglienza o quant’altro, utilizzando gli edifici pubblici vuoti. Solo che gli hub intermedi sono pochi, e alcune regioni mettono i bastoni tra le ruote. Di fronte a questo il governo è rimasto inerme e impotente.
Ma c’è ancora un altro aspetto che rivela l’impreparazione e la debolezza organizzativa. La Francia sostiene che l’Italia non è in grado di distinguere tra immigrati per ragioni economiche e profughi in fuga dalle guerre i quali hanno diritto all’asilo e, di conseguenza, diventano un problema comune della Ue. La replica è che non è facile tirare una linea. Basti pensare ai somali o agli eritrei. Ed è vero. Tuttavia, in Italia ci vuole un anno almeno prima di ottenere l’asilo e questo è scandaloso. Inoltre, proprio questa distinzione fornisce la chiave per far digerire le quote ai Paesi che le rifiutano. Ciò rivela un’altra debolezza italiana: non esiste una cornice politico-istituzionale che renda legittimo e possibile l’assorbimento ordinato, organizzato, programmato degli immigrati che cercano lavoro e una condizione di vita migliore.
Non è vero che gli immigrati tolgono il lavoro agli italiani (un esempio per tutti: a Roma nessun giovane italiano vuol fare il panettiere, meglio far la fila per un posto fisso all’Ama per raccogliere l’immondizia, così i panettieri e pizzaioli sono egiziani). Gli immigrati che hanno aperto una botteguccia hanno fatto crescere il pil (a Milano, l’area più dinamica, si calcola un contributo al prodotto lordo tra il 15 e il 18%). Le coppie italiane non fanno figli (magari li adottano se sono gay), dunque fra pochi anni sarà possibile pagare le pensioni solo grazie agli immigrati, gli unici che mettono al mondo bambini. Tutte queste cose sono note anche se andrebbero pubblicizzate e spiegate a scuola.
Ma è altrettanto vero che non è stato mai deciso di quanta e quale nuova forza lavoro (quella che gli italiani non riescono a fornire) il Paese ha bisogno per crescere e aumentare il proprio tenore di vita. E’ una base utilitaristica per affrontare questo lato del problema, ma è l’unica razionale, la sola che possono capire le partite Iva che seguono Matteo Salvini. Ebbene, non è stata discussa pubblicamente, non è diventata una priorità. Non s’è visto Matteo Renzi in tv con una slide sui migranti.
Il governo si è fatto trovare impreparato anche perché fin dall’inizio, cioè dallo scorso anno, ha considerato le migrazioni un fenomeno da affrontare con misure ordinarie. E da far ingoiare ai riluttanti. Invece, bisognava mobilitare tutti soggetti economici e politici, le amministrazioni locali, i sindacati, le associazioni industriali e professionali. Si dovevano moltiplicare conferenze a livello nazionale e locale mettendo tutti attorno al tavolo per trovare soluzioni. Occorreva un responsabile dell’immigrazione in ogni ministero, un commissario governativo in ogni regione e in ogni grande comune; i prefetti, figure per molti versi obsolete, avrebbe potuto trovare una nuova ragion d’essere. Nulla di tutto questo si è sentito nei talk show, cioè in quelli che sembrano gli unici veicoli per annunciare decisioni politiche e raggiungere le masse.
E’ tardi, ma forse non troppo tardi. Il nuovo sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha proposto una conferenza internazionale a palazzo Ducale sui migranti con Juncker, Renzi, Zaia e tutti i soggetti interessati. Anche se fosse una trovata scaturita nell’euforia del successo, varrebbe la pena di coglierla al volo, prepararla bene e al più presto. Prima però il governo dovrebbe trovare una linea chiara e uno strumento per realizzarla. Il presidente della Repubblica potrebbe dare una mano, perché nessun problema è tanto trasversale e tanto “nazionale” come quello che rischia di travolgere non solo gli equilibri politici, ma anche quelli altrettanti instabili della convivenza civile.