Non di solo TTIP vive la politica commerciale dell’UE. Dai paesi del Mercosur al Giappone e al Vietnam, dalla ricerca di un accordo sugli investimenti con la Cina all’aggiornamento dei trattati bilaterali con il Messico e il Cile, per disegnare la nuova strategia complessiva su trade e investimenti la Commissione europea sta preparando una Comunicazione. Ma decidere una strategia significa “fare delle scelte” precise e darsi “delle priorità”, ha ricordato il viceministro allo sviluppo economico Carlo Calenda, ospite due giorni fa nel primo panel dell’EU Trade Policy Day insieme al Commissario UE al commercio Cecilia Malmstrom, il presidente della Commissione Commercio internazionale del Parlamento europeo Bernd Lange e André Sapir, docente universitario, già consigliere economico di Romano Prodi quando era presidente dell’Esecutivo UE. L’evento, tenuto a Bruxelles il 23 giugno, ha suggellato l’inizio della canonica consultazione delle “parti interessate” (imprese, cittadini, ONG, lobbies, gruppi di pressione) che la Commissione lancia prima di pubblicare documenti strategici.
Un’occasione per Lange per affermare che “il Parlamento è sulla buona strada per approvare il suo parere sul TTIP nella plenaria di luglio (6-9 luglio, ndr)”, dopo il pasticcio di qualche settimana fa, quando il voto fu sospeso. Ma “non si devono confondere i ruoli – ha scandito Calenda – sentire il Parlamento è importante, ma il Parlamento non negozia, è la Commissione che deve farlo e ha ricevuto un mandato in tal senso”. A rischio, secondo il viceministro, è “l’efficacia stessa delle politiche commerciali europee”. Se il discorso di apertura della padrona di casa Cecilia Malmstrom cercava di teneva insieme tutto, trasparenza ed efficienza, Calenda ha insistito sulla necessità di fare delle scelte. Bisogna accelerare, ripete più volte dal palco: “Perché un anno e mezzo per tradurre in tutte le lingue l’accordo UE-Canada? Anche in italiano, la traduzione è inutile, almeno personalmente la penso così”. Una lentezza incompatibile “con la velocità della globalizzazione”.
Parlando di strategia complessiva, Calenda ha invitato tutti a chiarirsi le idee sugli obiettivi da conseguire in termini di partner, di interessi da difendere e di “livello di ambizione” cui si punta per ogni accordo, prima di iniziare i colloqui. E poi, “lasciar lavorare la Commissione”. Prima di trattare con i BRICs, è il suo ragionamento, c’è da “raggiungere una massa critica di paesi che vogliono davvero una nuova integrazione commerciale” in modo da poter negoziare con le economie emergenti in posizione di forza. Prima gli Usa, il Giappone e il Vietnam, insomma, poi il Mercosur e la Cina.
La motivazione è strategica: “Una volta chiusi TTIP e TPP e gli accordi dell’Ue con Vietnam e Giappone avremo due aree di libero commercio che insieme peseranno per il 60% del PIL globale, quelle aree dovranno essere integrate e armonizzate tra loro e potrebbe lavorarci l’OCSE”. Un network di paesi affini in termini di approccio alla liberalizzazione degli scambi che potrebbe spingere paesi come Russia o Cina ad aprire di più le proprie economie.
Calenda è poi tornato anche sull’idea di un TTIP “light”, già proposta durante il semestre di presidenza italiana dell’Ue col nome di interim agreement. L’idea è “chiudere subito con gli americani su tariffe, convergenza di standard e regolamenti per quei settori in cui c’è già un accordo tra gli imprenditori, e un principio di coesistenza per le indicazioni geografiche”, sul modello di quello realizzato nell’accordo UE-Canada (il cosiddetto CETA). Il resto “living agreement”. Idea rispedita al mittente dalla Malmstrom: “Allo stato attuale dei negoziati non è più possibile immaginare un TTIP light”.