Il recentissimo decreto legge che consente alle banche di dedurre fiscalmente, ed in un solo esercizio, le perdite derivanti dalla svalutazione dei crediti rappresenta una decisione fondamentale per accelerare la pulizia dei loro bilanci. Non è un regalo per le banche, anzi: il Fisco si trova a pagare il costo della recessione economica determinata dagli errori di previsione sottostanti alle manovre di bilancio adottate in questi anni. Le perdite sui crediti e le svalutazione sui cespiti messi a garanzia non rappresentano altro che la continua emersione dei danni subiti dal sistema economico nel suo complesso. Venendo finalmente meno il disincentivo fiscale a disfarsi dei crediti ammalorati, le banche saranno indotte ad accelererarne la cessione, in uno con le garanzie che li accompagnano.
Nel decreto ci sono poi una serie di altre disposizioni volte ad accelerare l’incasso dei crediti bancari e le procedure concorsuali: la prospettiva di una esecuzione forzata più rapida in danno del debitore dovrebbe elevare il valore attribuito dal mercato al credito che viene ceduto. Ciò è sicuramente vero a livello microeconomico, ed in condizioni di normalità: viceversa, considerando l’ammontare complessivo delle sofferenze bancarie lorde accumulate per via della crisi, c’è il rischio opposto.
A livello macroeconomico c’è una persistente debolezza sistemica di interi comparti produttivi, primi tra tutti quello immobiliare, per cui si può verificare un duplice fenomeno negativo: in primo luogo, una volta venuto meno il sostegno del credito bancario, ceduto ad un operatore specializzato nel suo recupero forzoso, le aziende potrebbero trovarsi con le spalle al muro, con l’unica prospettiva del fallimento. Anche perché, a questo punto, le alternative rappresentate dalla ristrutturazione del credito bancario e dagli accordi bonari con i fornitori, attraverso le procedure di concordato in bianco finalizzate alla prosecuzione della attività aziendale, saranno state sicuramente già perseguite.
In pratica, la crisi economica da cui sembra che stiamo finalmente uscendo potrebbe nuovamente aggravarsi. In secondo luogo, la mole eccezionalmente elevata di asset offerti sul mercato potrebbe portare ad un risultato opposto rispetto alla valorizzazione dei crediti in sofferenza: massicce vendite forzate di case d’abitazione, di magazzini e di capannoni industriali farebbero crollare il prezzo di riferimento. Si perseguirebbe, per le stesse banche, un rimedio peggiore del male, perché dovrebbero svalutare tutti gli asset in garanzia, anche se riferiti a crediti in bonis.
La ratio del decreto legge è ineccepibile e, per quanto riguarda il sistema bancario, condivisibile. Anche l’accelerazione delle procedure giudiziarie e paragiudiziarie volte alla escussione dei crediti ha un suo fondamento, ma solo in via astratta. Ancora una volta, manca una simulazione macrofinanziaria e macroeconomica degli effetti del provvedimento: le uniche previsioni si riferiscono agli effetti diretti sulle entrate dello Stato, come se fosse questa la verifica dell’unica razionalità ammessa per un legislatore che interviene su fenomeni sistemici. Ci sono in ballo, come tutti sanno, crediti ed asset per un centinaio di miliardi di euro, con ripercussioni che vanno al di là dei bilanci bancari.
È dunque una decisione pericolosamente monca, e non tanto per quanto riguarda la mancata istituzione di una cosiddetta Bad bank di sistema. Va dunque sfruttato il tempo a disposizione per la conversione in legge del decreto per mettere a punto una serie di misure volte ad evitare che per il sistema economico e finanziario si determinino conseguenze di gran lunga peggiori rispetto alla situazione attuale. Servono incentivi immediati, chiari e prospetticamente convincenti, sia per l’acquisto delle abitazioni da parte dei cittadini, sia per i fondi di gestione immobiliare, sia per i patrimoni immobiliari aziendali.
Troppo facile tornare indietro con la memoria, alla legge Tupini del dopoguerra, ai decreti Goria per agevolare l’acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie, alla normativa sulla riconversione industriale e la ristrutturazione di settore. Non basta limitarsi al lavoro di copiato dai report degli analisti e dei consulenti sullo smobilizzo delle sofferenze bancarie: sono compiti a casa troppo facili da svolgere, financo banali. Danno un senso di finta sicurezza. Ci fanno sentire sulla buona strada, mentre siamo invece nella fase più pericolosa di una politica economica, quella che si focalizza sulla pars destruens. Prima di prendere in mano il piccone per buttare giù quanto rimane di molte imprese travolte dalla crisi, bisogna anche indicare dove e come iniziare subito a ricostruire. Per evitare di rimanere travolti dalle macerie, tutti.