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Ecco i poco gai slogan del Gay Pride a Milano

Coppie eterosessuali, famiglie tradizionali con figli, coppie omosessuali alcune delle quali con bambini al seguito, mamme e papà single, trans, drag queen. Anziani, giovani, persone di mezz’età, studenti, operai, avvocati, medici, panettieri, salumieri, manager, addirittura un prete. Questo è stato il Gay Pride di Milano, composito e coloratissimo.

Ieri, più o meno 100 mila persone (150 mila secondo gli organizzatori) hanno sfilato da Piazza Duca d’Aosta, il piazzale antistante alla stazione centrale, fino a Corso Buenos Aires, sono arrivati in Porta Venezia dove era stato allestito il palco. La voce dei presenti – autorità politiche e volti noti del mondo dello spettacolo inclusi – chiedeva, in maniera forte e chiara, il riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso e tutto ciò che ne consegue quindi riconoscimento dei diritti e adozione, “perché l’amore non ha vincoli di genere e soprattutto perché tutti paghiamo le tasse” ci dicono.

Tanti gli striscioni esibiti, tanti gli slogan sdoganati su magliette, cappelli e molto altro. Da “L’Italia si desti” a “Alcune persone sono gay, fattene una ragione” fino al semplicissimo “Sì”. Il corteo è stato totalmente pacifico, rappresentativo della società moderna in quasi tutte le sue sfaccettature. L’orda di gente che anima la “festa dell’amore” (così la definiscono in molti) si muove sulla scia prorompente di quanto è accaduto l’altro ieri in America dove la Corte Suprema ha esteso a tutti gli Stati dell’Unione il riconoscimento della nozze gay.

“Quella è la nostra vittoria. Anche per questo la nostra voce si fa ancora più forte perché, dopo quanto accaduto negli Usa e in Irlanda poco tempo fa, l’Italia non può essere cieca e sorda, non possiamo stare sempre un passo indietro rispetto al resto del mondo” ci dice Simone, fidanzato da 8 anni con Marco con cui convive.
Le manifestazioni si fanno di solito a sostegno di qualcosa, ma se quel qualcosa ha bisogno di essere sostenuto è perché si contrappone a dell’altro che potrebbe avere medesima ragion d’essere.

L’unico “nemico comune” per i presenti pareva essere la Chiesa che attraverso il popolo cattolico da mesi porta avanti la strenua difesa del matrimonio e della famiglia. “Dio li fece maschio e femmina” si legge nel Libro della Genesi, quello stesso Dio è stato bistrattato per le strade milanesi.
Durante il Gay Pride, sono stati messi alla berlina con cartelli del tipo: “Famolo Dai” (invece che Family Day), “Tagliatelle in piedi” (invece che Sentinelle in piedi”). Inoltre, un fantoccio con la faccia di Papa Francesco si aggirava per le fila del corteo, quasi a voler far intendere che, se avesse potuto, Bergoglio “sarebbe stato dei nostri” spiegano.

Alla fine della manifestazione sul palco di Porta Venezia si sono alternati alcuni degli organizzatori della manifestazione che, oltre a manifestare semplice soddisfazione per la buona riuscita dell’evento, hanno detto: “Ringraziamo il Comune di Milano per averci sostenuto e ringraziamo la Regione Lombardia alla quale siamo riusciti a strappare il patrocinio proprio come aveva fatto quel congresso schifosamente omofobo (il riferimento è a Difendere la famiglia, per difendere la comunità, ndr) a cui ha preso parte anche un prete pedofilo di Cl” e giù con gli applausi.

Prosegue ancora uno degli organizzatori davanti al microfono: “Dobbiamo difendere i nostri figli dai criminali pedofili che ci sono nel clero”. Ancora applausi e pure qualche bestemmia, diciamolo dai. E poi ancora: “Noi raccogliamo soldi per i profughi, siamo meglio di qualsiasi chiesa”. Deve essere per questo che, nel 2012, è nata la Chiesa Pastafariana Italiana, scimmiottamento più o meno riuscito delle Chiese religiose del mondo.

Sul tavolato colorato arriva infine il sindaco di Milano, Giuliano Pisapia: “Il Parlamento ascolti – ha detto il primo cittadino – questo urlo forte di richiamo. Occorre passare dalle parole ai fatti. Milano è un esempio di civiltà”. Conclude: “Se entro l’anno quest’urlo non sarà ascoltato allora dovrà salire un urlo di rabbia e ribellione”. Per fortuna che lo spauracchio della libertà doveva fungere da stella cometa.


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