Grazie all’autorizzazione del gruppo Class Editori, pubblichiamo l’articolo di Tino Oldani uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi.
Nonostante il trionfalismo dei comunicati finali, il G7 di Elmau in Baviera, con Angela Merkel padrona di casa, può essere archiviato tranquillamente come un fallimento politico, mascherato dal clima di simpatica scampagnata. I tre punti sbandierati come successi (l’accordo sul clima, l’intesa sul Ttip, le sanzioni contro Putin), sono in realtà dei palloncini di propaganda buoni per i tg serali, ma destinati a sgonfiarsi molto presto. La riduzione del 70% dei gas serra entro il 2050 è solo una promessa ipocrita, visto che negli ultimi anni ben cinque Paesi del G7 (Germania, Gran Bretagna, Italia, Giappone e Francia), nonostante l’impegno contrario assunto nel 2009 a Copenhagen, hanno aumentato l’uso del carbone, come dimostra l’ultimo rapporto Oxfam. Non meno ipocrite appaiono le sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin, soprattutto da parte di Germania, Francia e Italia, che non vedono l’ora di ripristinare per intero i commerci con Mosca.
Il flop più clamoroso dei palloncini lanciati a Elmau riguarda però il Ttip, ed è notizia di ieri. Infatti il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz, si è visto costretto ad annullare la votazione sul trattato di libero scambio Usa-Ue, fissata per oggi: un autentico colpo di scena, provocato dai contrasti insanabili all’interno del gruppo socialista-democratico (S&D). Un vero e proprio caos politico, comprensibile solo se si considera che riguarda una votazione considerata decisiva come non mai. Il Parlamento Ue è chiamato infatti a esprimersi per la prima volta in seduta plenaria su una mozione che dovrebbe dare il via libera alla Commissione Ue per concludere il negoziato Ttip, dopo due anni di dialoghi infruttuosi. Ma la mozione che doveva essere messa ai voti, benché approvata il 28 maggio dalla commissione Commercio con 28 sì, 13 no e nessun astenuto, è stata sommersa negli ultimi giorni da una valanga di emendamenti, proposti da tutti i partiti dell’europarlamento, compreso quello socialista. Vale a dire dallo stesso partito a cui appartiene il relatore della mozione, il socialdemocratico tedesco Bernd Lange, che di fatto si è trovato smentito da quasi tutti i partiti socialisti che siedono nel Parlamento Ue.
Il 28 maggio la mozione Lange aveva potuto superare i contrasti interni alla commissione commercio soltanto in virtù di un compromesso ambiguo tra S&D da una parte e Ppe e liberali dall’altra, un testo che nel giro di due settimane è stato ripudiato da gran parte degli stessi eurodeputati socialisti su un punto chiave: l’inserimento della clausola Isds (Investment state dispute settlement), relativa a un unico arbitrato internazionale per risolvere le dispute tra le società multinazionali e gli Stati. Il testo predisposto da Lange diceva che la clausola Isds poteva fare parte del trattato, come richiesto in modo tassativo dagli Usa, ma aggiungeva che doveva essere riscritta, senza però specificare come.
Un autentico pasticcio scritto in politichese, frutto di faticose trattative tra i tre partiti (popolari, socialisti e liberali) che sorreggono la Commissione di Jean-Claude Juncker, quanto mai divisi su questo punto: i popolari e i liberali sono favorevoli a inserire nel trattato una clausola Isds morbida, sia pure da riscrivere, mentre la maggior parte degli eurodeputati socialisti sono contrari all’inserimento puro e semplice, ritenuto in ogni caso favorevole alle multinazionali e lesivo per l’autonomia legislativa degli Stati sovrani.
Sembrava fatta. Ma nei giorni successivi al voto sulla mozione, tra i socialisti europei è scoppiato il finimondo. I più scatenati sono stati i francesi, che nel loro congresso nazionale, svoltosi a Poitiers, hanno sparato ad alzo zero sull’intero trattato. Il segretario generale del Ps francese, Jean-Christophe Cambadélis, ha urlato «no» all’Isds in tutte le lingue d’Europa, riscuotendo un’autentica ovazione: «Via l’Isds, o non voteremo il trattato». Sulle stesse posizioni si sono schierati via via anche i socialisti belgi, olandesi, austriaci e inglesi, che hanno presentato decine di emendamenti.
Quanto all’Italia, il premier Matteo Renzi è da sempre favorevole al Ttip (benché non ne abbia mai letto neppure una pagina), e nessuno degli eurodeputati del Pd si è azzardato a contraddirlo. Appaiono invece spaccati i socialisti spagnoli, metà disposti a votare l’Isds e metà contrari, mentre i socialisti rumeni sono gli unici favorevoli a votare la mozione del 28 maggio tale e quale. Nel complesso, una situazione caotica, che ha reso via via sempre più incerto l’esito della votazione, tanto da costringere Schulz a rinviarla all’ultimo momento, nonostante lo stesso Lange, con una capriola insolita per un politico tedesco, avesse presentato sul filo di lana tre emendamenti, con i quali smentiva se stesso. In sintesi: sì a un tribunale terzo «soggetto ai principi democratici» che risolva le controversie tra Stati e multinazionali, ma fortemente riformato rispetto a quello ipotizzato fino ad oggi (che era unico, internazionale, privato), e soprattutto che non si chiami Isds. Testo che non ha convinto i popolari, orientati a presentare una loro mozione ancora più soft. Mentre Verdi, Sinistra Unita e socialisti radicali annunciavano una mozione contraria per principio a ogni tribunale terzo.
Comunque vada a finire, il Parlamento europeo sembra essersi svegliato dal letargo. E questa è già una buona notizia.