Il cambiamento climatico e le conseguenze che ne derivano rappresentano una sfida che non ha precedenti nella storia dell’umanità. Non possedendo alcun esempio a cui si possa fare riferimento in questa burrasca globale nel nostro orizzonte non lontano, siamo letteralmente rari nautes in gurgite vasto (rari nuotatori sparsi nel vasto gorgo). Senza esempi e direttive sul da farsi, tentenniamo e il comportamento più naturale è quello di procrastinare; un’inerzia intellettuale anche comprensibile ma estremamente rischiosa per almeno due motivi.
Primo, il temuto aumento di 4-5 gradi centigradi della temperatura della Terra non è nuovo; avvenne anche quando non c’erano umani sul pianeta (circa 55 milioni di anni fa), ma la differenza è che allora impiegò 20mila anni per verificarsi, mentre quello temuto oggi avviene in due-tre generazioni: una drammatica contrazione temporale che dimostra l’unicità della presente era geologica per la quale è stato giustificatamente suggerito il nome Antropocene (l’era dell’uomo), più un onere che un onore. Secondo, gli scienziati ci ammoniscono che il sistema-Terra non necessariamente risponde sempre in modo proporzionale alle nostre perturbazioni, una comoda ma pericolosa ipotesi secondo cui alle nostre piccole molestie, il sistema-Terra reagisce con piccole risposte.
Come però ci avvertono gli scienziati, a una seppur piccola perturbazione, il sistema-Terra potrebbe rispondere in modo totalmente imprevisto e irreversibile. Non lo sapremo finché non succederà; quando sarà, però, malauguratamente troppo tardi per ripensare a quanto abbiamo fatto sarà impossibile invertire la rotta. Gli scienziati usano il termine “irreversibile” prendendolo in prestito dalla termodinamica. Un esempio. Questo non è allarmismo, è quanto ci dice la scienza ben provata dei sistemi non-lineari, di cui la Terra è un esempio. Sperare che ci vada bene è in contraddizione con quello che le migliori menti che studiano questi temi ci dicono. L’ignoranza non è più una scusa credibile. Dai tempi di Aristotele si dice che natura non facit saltus (la natura non fa salti), ma è un grave errore.
Oggi sappiamo che la natura è capacissima di fare “saltus” e lì si annida una perniciosa incognita dei cambi climatici. Il problema non è la sopravvivenza del pianeta Terra, che continuerà la sua traiettoria nella nostra galassia, ma la soppravvivenza dei suoi inquilini, noi. Il cambiamento climatico non è però solo un problema legato alla natura e alla qualità della vita in senso generale. Ha anche un importante aspetto etico. Infatti, Paesi, popolazioni e individui che non hanno mai contribuito all’aumento dei gas a effetto-serra che determinano il cambiamento climatico, si ritrovano di fatto a essere vittime di molte delle conseguenze che da esso derivano.
Un esempio concreto e allarmante è quanto sta succedendo alle piccole isole del Pacifico, i cui litorali si stanno restringendo a causa dell’innalzamento del livello dei mari. Ma non sono solo queste isole a risentire degli effetti del nostro modo sprecone di vivere, un carpe diem scevro e disattento di meccanismi autocorrettivi. Ci sono allarmanti aspetti anche per i Paesi sviluppati, tra cui la sicurezza nazionale e internazionale. Le migrazioni a cui assistiamo sulle spiagge della Sicilia impallidirebbero qualora si avverasse quello che molti esperti temono: decine di milioni di esseri umani che oggi vivono al livello del mare potrebbero perdere il dono più prezioso, la loro casa, senza la quale verrebbero spinti a immigrare in altri Paesi, fra i quali il nostro è certamente in prima fila. Un problema di sicurezza nazionale sul quale abbiamo letteralmente esperienza zero.
È stato spesso suggerito che future tecnologie saranno in grado di risolvere i nuovi problemi ambientali. Speriamo, ma sono scettico. Le tecnologie sono il prodotto di invenzioni e quindi bisogna continuare a inventare invenzioni, la cui unica fonte è la conoscenza. In questo scenario, tutte le religioni del mondo possono e devono svolgere un ruolo basilare per aiutare l’umanità ad affrontare con coscienza e lungimiranza un tema come quello del cambiamento climatico. Alle voci autorevoli dei circa 3mila scienziati che riassumono tutta la conoscenza sul clima in dettagliati rapporti sponsorizzati dall’Onu, oggi si aggiunge un’altra voce autorevole, quella di papa Francesco che con carisma e attenzione, ha in più occasioni ricordato che la Terra non è un’eredità che abbiamo ricevuto e di cui possiamo disporre a nostro piacimento; è un prestito che dobbiamo non solo salvaguardare, ma consegnare ai nostri figli migliorato.
Purtroppo le nostre azioni dimostrano il contrario, poiché stiamo trattando questo pianeta senza riguardo al principio di equità intergenerazionale: anche se le generazioni future non sono oggi presenti, non abbiamo il diritto di agire come se non esisteranno. Dobbiamo trovare un avvocato che perori la loro causa anche in loro assenza. Questo avvocato esiste, ma è poco interpellato: è la nostra coscienza che dovrebbe guidarci e motivarci verso un senso di igiene planetaria, mentre invece stiamo insudiciando in modo irresponsabile gli oceani, come i fatti ci dimostrano. Il fatto che sia proprio il papa a far sentire la sua voce per invitare le donne e gli uomini che abitano la Terra a prestare maggiore attenzione nei confronti dell’ambiente è un fatto di grande rilevanza.
Nessuno meglio di lui può, infatti, farsi interprete e portatore degli interessi dell’umanità senza poter essere criticato di opportunismo economico o di altro tipo. Nel 1983, papa Wojtyla sottolineava che la Terra non è una riserva da saccheggiare senza limiti; nel 1987, in Cile invitò coloro che ricoprono ruoli di responsabilità a proteggere la natura e nel 2001 espresse proprio la necessità di una conversione ideologica in tema di cambiamento climatico. Durante il congresso mondiale della gioventù, a Rio de Janeiro nell’estate del 2014, papa Francesco espresse chiaramente questi concetti delineando le nostre responsabilità di custodi e non di padroni.
Se noi siamo i custodi del nostro pianeta, quis custodiet ipsos custodes (chi custodirà i custodi)? La risposta è tanto semplice quanto impegnativa: la nostra coscienza, che finora è stata troppo infrequentemente interpellata in questo grande dibattito.
Vittorio M. Canuto, Docente del dipartimento di Fisica e matematica presso la Columbia University