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Fca e Lamborghini, ecco quello che Landini non dice (e non dirà)

Nel 2012 al Salone dell’automobile di Pechino fu presentato Urus, il prototipo di concept Suv disegnato da Lamborghini. Oggi, a distanza di tre anni e dopo una lunga incubazione, Audi,  marchio premium del gruppo Volkswagen che controlla la casa automobilistica di Sant’Agata Bolognese, ha fatto la sua scelta. Urus sarà realizzato in Italia, battendo così la concorrenza dello stabilimento slovacco di Bratislava (dove il gruppo tedesco produce il Suv Cayenne della Porsche, la Q dell’Audi e la Touareg Volkswagen).

Qualche giorno fa il governo italiano ha chiuso una partita che si era già messa in discesa, grazie all’accordo siglato dai sindacati, stanziando una cifra compresa tra 70 e 100 milioni di euro. Soldi pubblici che si sommano ai 700-800 milioni (di cui circa 350 in ricerca e sviluppo) messi sul piatto da Audi. Un caso più unico che raro. Non si ha memoria, almeno recente, ha scritto giustamente Fabrizio Patti su Linkiesta, di “altri investimenti pubblici in grado di  far da leva a  800 milioni di investimenti privati, con un fattore moltiplicatore pari a 12″.

Anche stavolta, tuttavia, qualche “tafazzista” di professione ha gridato allo scandalo. E proprio a causa dell’intervento del governo: sono gli stessi che in ogni occasione, da anni, reclamano politiche industriali dagli esecutivi.

Bisogna però dire, per correttezza, che la scelta di realizzare Urus in Italia è stata dettata oltre che dagli investimenti pubblici (che forse potevano essere più alti in Slovenia) da un gioco di squadra virtuoso tra Regione, Ministero dello Sviluppo Economico e un sindacato che, andando oltre sterili e  velleitarie manie ideologie – buone solo per il solito, noioso intrattenimento televisivo e per la carriera di qualche conduttore radical chic – ha fatto la sua parte, firmando con Lamborghini un buon accordo, che porta il  lavoro (nuovo lavoro, anche) affrontando positivamente le sfide poste all’industria dai processi economici della globalizzazione.

Anche in questa occasione, però, larga parte dei media ha preferito fermarsi ai titoli. E come già è accaduto nella vicenda Fiat si ha la sensazione che nessuno si sia preso la briga di leggere gli accordi, dando spazio ai vocalizzi del pappagallo rosso.

Maurizio Landini, il segretario della Fiom, s’è guadagnato la sua notorietà sparando “alzo zero” sugli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori. I media gli hanno fatto da grancassa, parlando di  violazione dei diritti, di accordi scritti sulla carne viva dei lavoratori, di sindacati venduti. Nei fatti si è prodotta un’istigazione all’odio, che, messa in circolo in prima serata da tutti talk show, ha concorso a causare un’ondata di assalti alle sedi dei sindacati firmatari che ora si finge di dimenticare.

Quella stessa Fiom – con buona pace dell’intelighènzia telecondotta – invece di avviare una sana quanto necessaria autocritica (ah, i comunisti di una volta), oggi straparla di “modello Lamborghini”. Un suo spin doctor, Gabriele Polo, ex direttore del Manifesto, è arrivato addirittura a scrivere: “Modello Lamborghini: bye bye Marchionne”. Roba da far impallidire il mago Silvan.

Nemmeno gli illusionismi, però, possono cancellare la realtà. Così sbuca Sergio Bellavita,  sempre uomo Fiom, ma tendenza Cremaschi (ché qualcuno più a sinistra si trova sempre), è intervenuto per spiegare ai compagni in un lungo intervento che l’accordo Lamborghini sposa pari pari le linee guida, i contenuti e la filosofia che ha ispirato gli accordi Fiat. Almeno il radicalismo ha una sua coerenza.

Ora, come avrebbe detto il mitico Antonio Lubrano, la domanda nasce spontanea: perché in Fiat, dove ballano 4 miliardi di investimenti e 86 mila posti di lavoro, la Fiom si è strappata le vesti e in Lamborghini no? La Fiom si guarda bene dal rispondere, preferisce tenere i piedi in due staffe: una è quella dell’ipocrisia, l’altra quella del cinismo. Ma la verità è semplice: firmo dove sono più rappresentativo, cioè in Lamborghini, perché non ne posso fare a meno; dove conto poco invece lascio agli altri l’incombenza e la responsabilità di fare la partita. Perché – e da qui non si può scappare – per la proprietà transitiva, se l’accordo Lamborghini è un ottimo accordo, come dicono in Fiom – e la Fim Cisl ritiene che lo sia, altrimenti non lo avrebbe firmato – lo è per forza di cose anche quello Fiat.

Vediamo brevemente perché:

L’accordo Lamborghini, mette al centro (punto 1.1)  la “Charta dei rapporti di lavoro in seno al Gruppo Volkswagnen”, che ha come obiettivo quello di salvaguardare ed incrementare la competitività e la redditività del Gruppo, obiettivo che persegue con un sistema di relazioni sindacali improntato sulla cooperazione e la partecipazione.

Sono valori che la Fim sostiene da anni e che, anche in Fiat (oggi FCA), ha contribuito ad affermare, seppure con modalità diverse. Va detto tuttavia che in entrambi gli accordi lo schema va completato e irrobustito in un quadro di co-partecipazione alle scelte strategiche d’impresa su un modello di tipo nordeuropeo.

La Fiom ha salutato con soddisfazione gli investimenti pubblici per circa 100 milioni di euro messi in campo dal governo e Regione, che insieme agli 800 milioni del gruppo tedesco porteranno 500 posti di lavoro. Ma, va detto, si guarda bene dal sottolineare che Fiat, in passato beneficiaria di generosi contributi in varia forma erogati dallo Stato, da tempo si muove con le sue gambe, mettendo di tasca propria i soldi necessari al rilancio degli stabilimenti. Per la precisione si tratta di oltre 4 miliardi in 4 anni. Il risultato è che sono arrivate più di 2500 nuove assunzioni.

Tornando a Lamborghini, l’accordo prevede poi sul piano organizzativo l’eliminazione dello  storico “fattore Lamborghini”, con l’accelerazione della linea del +9,17% nei montaggi e lavori a ritmo vincolato a cartella. C’è inoltre l’introduzione del sistema UAS, portato del WCM utilizzato in FCA, un sistema organizzativo adottato da tutte le aziende al mondo che producono auto (ma anche la Whirlpool nello stabilimento di Varese, dove pare che la Fiom non abbia fatto obiezioni).

Per non parlare delle pause. Se in FCA sono da 30 minuti, in Lamborghini sono da 26 minuti (due da tredici minuti). Come dimenticare che alla Fiat di Pomigliano la stessa Fiom che ha firmato l’accordo Lamborghini e che oggi scrive “bye bye modello Marchionne”, paragonò i ritmi di lavoro a quelli dei poveri cristi che, in nero, raccolgono pomodori in Puglia?

Ma le soprese di questa Fiom “contorsionista” non finiscono qui. In Lamborghini, e del resto pure in Ducati, ha infatti accettato la turnistica che – anche in questo caso come in Fca – prevede già da ora per i prossimi 36 mesi l’orario pluri settimanale su 21 turni, articolati in 7 giorni compresa la domenica. Gli stessi che si fanno nello stabilimento FCA di Melfi, per capirci, dove la Fiom – mistero divino – continua a proclamare scioperi.

Ciliegina sulla torta, il referendum tra i lavoratori. Francamente non si capisce perché se il referendum è valido in Lamborghini, non lo debba essere anche a Pomigliano (sentenza del giudice Ciocchetti docet).

Insomma, l’intesa in Lamborghini dimostra, qualora fosse necessario, che la Fiom ha fatto delle vicende in Fiat-Fca il trampolino di lancio mediatico del suo segretario generale Landini. Sfortunatamente l’operazione ha avuto costi rilevanti in termini di consenso, visto che da quando Landini è al timone i metalmeccanici Cgil hanno perso circa 30mila iscritti. Succede quando si pensa tanto alla politica e poco al sindacato, ai suoi iscritti e ai lavoratori! Il Landini che non firma da un secolo neppure i contratti nazionali ricorda sempre più quegli avversari dileggiati da Mourinho che ricordava loro i risultati ottenuti, ossia “zero tituli”. In casa e fuori.

Augusto Bisegna

ufficio stampa Fim-Cisl



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