Una Grecia alla sempre più disperata ricerca di sostegno finanziario per evitare il default ha annunciato venerdì scorso la firma di un accordo preliminare con la Russia per l’estensione del gasdotto Turkish Stream attraverso il territorio greco. Il valore del progetto è stimato attorno ai due miliardi di euro: sarà finanziato interamente da una banca di investimento russa, e vedrà i due paesi condividere la proprietà dei tubi. In questo modo, Gazprom aggiunge un altro tratto alla mega-conduttura che punta a portare il suo gas in Europa bypassando l’Ucraina, attraverso il Mar Nero e la Turchia, prima di accedere ai mercati comunitari.
Per annunciare l’intesa, il primo ministro Alexis Tsipras è volato a San Pietroburgo, proprio mentre i suoi negoziatori erano alle prese con la difficilissima ricerca di un accordo con i creditori europei. L’estensione di Turkish Stream è stata poi siglata dai ministri dell’Energia dei due paesi, Alexander Novak e Panagiotis Lafazanis, rendendo vani tutti gli sforzi degli Stati Uniti: a maggio l’inviato per gli Affari Energetici del Dipartimento di Stato, Amos Hochstein, era stato ad Atene per chiedere alla Grecia di non cedere alle offerte di Gazprom e concentrarsi invece sui progetti appoggiati dall’Unione Europea.
Solo un giorno prima dell’annuncio di Putin e Tsipras, Gazprom aveva firmato un altro accordo con la compagnia anglo-olandese Shell, la tedesca E.ON e l’austriaca OMV per il raddoppio di Nord Stream, il gasdotto che connette Russia e Germania attraverso il Mar Baltico.
Le due intese sembrano sfidare gli sforzi europei di diversificazione energetica, e rischiano di rendere l’Ucraina sempre più irrilevante come rotta di transito del gas russo, con gravi rischi per l’economia del paese, che perderebbe una fonte importante di entrate economiche.
La Ue ha risposto con una dichiarazione in cui ha ricordato come solo il 57% della capacità di trasporto di gas russo è realmente utilizzato sui mercati europei, sottolineando quindi come ulteriori forniture di Gazprom rischiano di non avere mercato. Nello stesso commento, l’Unione ha confermato il suo impegno nel cercare di differenziare le fonti energetiche e la sua vigilanza sull’applicazione delle norme comunitarie nella costruzione di nuovi gasdotti.
In una dichiarazione rilasciata a Politico Europe, il commissario europeo all’Energia Miguel Arias Cañete ha però ammesso che la Ue “ha un grosso problema con la decisione russa di interrompere il transito del gas attraverso l’Ucraina”, riconoscendo i rischi per l’economia di Kiev.
La strategia di Gazprom per cambiare le sue rotte di transito è anche una sfida sul piano economico: il gigante russo dell’energia vuole spostare i suoi hub di ingresso nei mercati comunitari, obbligando la Ue a costruire le nuove condutture necessarie, ma l’Unione non ha nessuna intenzione di finanziare i progetti. Come ha ricordato alcuni giorni fa a Formiche.net l’esperto di energia Mikhail Korchemkin, della società di consulenza East European Gas Analysis, le intenzioni di Gazprom contraddicono i contratti già siglati con i partner europei: quelli firmati con l’Eni, ad esempio, prevedono l’arrivo del gas russo ai confini settentrionali dell’Italia fino al 2035.
E chissà se anche di questa incongruenza hanno parlato il Ceo di Eni Claudio Descalzi e il boss di Gazprom Aleksej Miller nel loro recente incontro a Milano. Un meeting in cui, secondo il comunicato di commento di Gazprom, si è discusso anche di Turkish Stream.