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Ecco il bluff di Tsipras. Il commento dello strategist Sersale

L’impressione è che i toni perentori dei rappresentanti dei creditori stiano rafforzando la percezione del mercato che sono loro a disporre della mano più forte.  Mentre a Tsipras, stretto tra le ambizioni della sua piattaforma elettorale e il desiderio del suo popolo di evitare un default dalle molte incognite, il bluff sia scoppiato in mano.

Non a caso, le dichiarazioni di parte greca, almeno a giudicare da quanto riportato sui media, si sono fatte assai meno sprezzanti. Per farsi un idea dell’evoluzione dell’opinione pubblica in Grecia basta guardare a quella dei sondaggi. Se a inizio maggio il 52% degli intervistati riteneva che restare nell’€ fosse la priorità per il governo, ma il 70% riteneva che questo non dovesse violare le proprie direttive, la settimana scorsa il 70% ha espresso il desiderio di restare nell’€ a ogni costo.

Ritengo che il margine di manovra per Tsipras sia finito. Attribuisco l’80% di probabilità ad un epilogo in cui il Premier greco si accorderà con l’EU (magari con la promessa di aprire un tavolo di trattative sulla ristrutturazione del debito) e passerà la proposta in parlamento con l’aiuto dell’opposizione. Il restante 20% si divide tra questi 2 scenari, equivalenti nelle conseguenze: 1) Tsipras ha fatto la sua ultima proposta, conscio che sarebbe stata rigettata, con il fine di attribuire il più possibile la colpa del default all’EU 2) Le pensioni sono un tabu’ troppo grosso per il Governo greco, e fanno affondare l’accordo a un metro dal traguardo.

Avendo attribuito una probabilità ridotta, ma non  trascurabile, ad un default greco, provo a delineare brevemente quelle che secondo me sarebbero le conseguenze.

Si è fatto un gran parlare dell’impatto simbolico e concettuale di un eventuale uscita dall’€ della Grecia (probabile epilogo di un default disordinato) sull’unione monetaria: creerebbe un precedente, minerebbe il dogma dell’irreversibilità dell’€, rendendo più vulnerabile l’Unione. Su questo punto osservo che da mesi si discute di un uscita della Grecia, con i principali leaders che hanno chiaramente modificato la loro dialettica da “L’€ è indivisibile” a qualcosa che si può riassumere con “Vogliamo la Grecia nell’€, ma sta ai Greci decidere se vi vogliono restare”.

Dov’è questo dogma dell’irreversibilità? A mio parere una volta che la permanenza nell’unione monetaria dipende da una serie di eventi dall’esito incerto, il dogma è morto, e l’effettiva permanenza modifica di poco come questa unione viene percepita. Ciò di cui bisogna discutere è se l’unione può sopravvivere all’eventuale dipartita di uno dei suoi membri.

Nel breve, mi pare di poter rispondere affermativamente. Rispetto a 4 anni fa diverse cose sono cambiate:

1) L’esposizione alla Grecia è diminuita tantissimo, ed è localizzata quasi interamente sui bilanci pubblici. Quattro anni fa era assai più elevata e non si sapeva chi era esposto e in che misura, il che rendeva le banche e le altre istituzioni finanziarie diffidenti l’una nei confronti dell’altra, bloccando di fatto il sistema finanziario.

2)  L’EU ha prodotto una lunga serie di schemi in grado di isolare il problema ed  evitare il contagio: L’ESM, l’OMT, gli stress test , la sorveglianza e le ricapitalizzazioni bancarie, il QE e le TLTRO

In questo senso ritengo che l’uscita della Grecia non produrrebbe più di una moderata fase di stress sui mercati, presumibilmente affrontata dalle autorità monetarie con ulteriori dosi di stimolo, e dai paesi membri con un aumento degli sforzi di integrazione.

Più difficile da valutare il rischio geopolitico, sebbene le recenti dichiarazioni di parte russa non lascino intendere particolare fervore imperialista.

A medio termine, ci sarebbe da discutere ampiamente se il fenomeno greco sia un one off, o non sia piuttosto un sintomo di un difetto di costruzione dell’€, destinato a replicarsi via via in altri paesi, un po’ come il collasso del più debole dei Broker -Dealers, Bear Stearns, ben lungi dal essere un problema localizzato, fu il sintomo della crisi di un business model.
Su quest’interrogativo, la risposta definitiva è assai lontana nel tempo.


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