Sono ormai due anni che il G8 è tornato G7, esattamente da quando è scoppiata la crisi ucraina e Vladimir Putin è stato espulso dal club. Ma ancora una volta il convitato di pietra si è fatto sentire, eccome. Un messaggio importante l’ha lanciato dalle colonne del Corriere della Sera, indicando il rapporto con l’Italia come “privilegiato”. Ciò ha fatto sobbalzare gli altri sei capi di Stato e di governo riuniti in Baviera attorno a birra e salsicce (rigorosamente bianche). E ha spinto il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, a precisare, sempre dalle colonne del Corsera, che Roma è orgogliosa di questo rapporto speciale con Mosca, anche se non farà nulla per contrariare gli alleati occidentali.
Basterà a rassicurare contro l’insidiosa leva putiniana che tenta di spaccare l’Europa? Gli americani pensano di no. E lo hanno fatto capire chiaramente dalle colonne del New York Times (i giornali sono tornati messaggeri dei potenti come ai tempi della guerra fredda, molto più trasparenti dei discorsi ufficiali). Il quotidiano ha pubblicato un ampio articolo (molto accurato ed equilibrato come suo solito), nel quale per circa tre quarti racconta tutti i tentativi russi di mettere zizzania nei vari Paesi europei, finanziando, aiutando, stimolando i movimenti anti-europeisti di destra e di sinistra, giocando di sponda con Atene (nell’intervista al Corsera Putin conferma sia pure in modo mellifluo questa operazione), lanciando una propria versione del soft power: il Cremlino paga inserti pubblicitari sui principali giornali (incluso il New York Times), espande la sua rete televisiva RT in lingue inglese e altre lingue europee (una sorta di Al Jazeera con il colbacco), fornisce sostegni di ogni tipo ai movimenti verdi che si battono contro l’estrazione di idrocarburi frantumando le rocce (campagna baciata dal successo in gran parte dei Paesi europei che hanno proibito il cracking). Senza contare le accuse di pagare direttamente partiti e gruppi anti-euro.
Finora, per la verità, l’unico finanziamento accertato riguarda il Front National di Marine Le Pen (11,7 milioni di dollari già prestati per arrivare, si dice, a un totale di 50 milioni entro il 2017). Poi ci sono le vanterie (o i tentativi) di Matteo Salvini, senza riscontro concreto. In ogni caso, il quotidiano americano dà voce alle accuse esplicite rivolte dal vicepresidente Joe Biden lo scorso mese in un discorso tenuto a Washington, alla Brookings Institution: “Il Cremlino scuote la gabbia lavorando duramente per comprare e cooptare forze politiche europee, finanziando partiti anti-sistema sia di destra sia di sinistra in tutta Europa”.
Al G7, così, Barack Obama è andato giù duro affinché la Ue, al Consiglio del 25 e 26 prossimi, confermi le sanzioni. Angela Merkel si è impegnata, anche se si è lasciata aperta la possibilità di introdurre alcuni aggiustamenti, per dare ascolto alle pressioni che vengono dal suo interno. Nella lista dei “collaborazionisti” stilata dalla Cia ci sarebbe persino il partito anti-euro Alternative für Deutschland (anche se le accuse non hanno trovato finora fondamento). E domenica scorsa a Dresda il partito di destra anti-islamico Pegida ha ottenuto il 10% mentre la CSU è regredita al terzo posto. Ha vinto l’alleanza tra i socialdemocratici, i verdi e la Linke (il partito degli ex comunisti), un sodalizio che certo non dispiace a Mosca.
Putin, dunque, ha recitato la parte del Commendatore: non è ancora riuscito a trascinare all’inferno i commensali, ma nessuno può negare che ci stia provando in tutti i modi con i più vari strumenti: soft e hard power coordinati secondo una strategia ben studiata, di fronte alla quale i Paesi occidentali procedono scoordinati, se non proprio in ordine sparso.
L’obiezione dei filo-russi è sempre la stessa: con Mosca bisogna discutere e a Mosca fino a prova contraria comanda Putin. Hanno ragione. Ma di che cosa bisogna discutere? E come? E’ questo il punto. La Russia è alleata contro il terrorismo islamico (lo diceva già Bush figlio dopo l’11 settembre)? Può essere vero, come è vero che la Nato ha una bella rogna da grattare al proprio interno visto che la Turchia arma il Califfato contro la Siria, l’Iran e i curdi ancor più insidiosi dopo i risultati elettorali di domenica.
Ma se non si mettono dei punti fermi, con Mosca come con Ankara, la politica a geometria variabile finirà per far girare la testa a un fronte occidentale diviso sulle crisi principali che si trova ad affrontare, dalla Grecia alla Russia, dalla Siria al Nord Africa; per non parlare di migranti e rifugiati. E’ possibile trovare una vera politica comune che non sia un continuo rincorrersi di compromessi al ribasso? Per il momento no. Forse bisognerà aspettare un nuovo presidente degli Stati Uniti. O forse nemmeno quello se prevarrà un candidato parrocchiale senza nessuna vocazione internazionalista.
Quanto alla Ue, oggi c’è solo la Cancelliera: zigzagante, astuta, senza visione, ma almeno nient’affatto stupida.
Stefano Cingolani