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Ilva, Telecom, Export Banca e non solo. Cosa farà (forse) la Cassa depositi e prestiti renziana

Perché il governo Renzi rottama i vertici di Cdp? E quale sarà la nuova missione della Cassa depositi e prestiti in epoca renziana?

Queste due domandine Formiche.net le ha posto fin da quando si è iniziato a vociferare dell’intenzione di Palazzo Chigi di mandare a casa con un anno di anticipo rispetto alla scadenza del mandato presidente e amministrazione di Cdp, ovvero Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini.

Siccome il governo non smentiva le indiscrezioni, piuttosto che impantanarci sui nomi dei successori e sui veri architetti del ribaltone, ci siamo posti qualche domanda.

Dunque, perché silurare i vertici di Cdp? Fin dall’inizio abbiamo avanzato 4 ipotesi: Ilva, Telecom, Export Banca, fondo cosiddetto salva imprese. In tutti i casi (o quasi) veniva imputata di fatto ai vertici della Cassa depositi e prestiti (forse più all’amministratore delegato che al presidente, per quanto si riesce a capire) un eccesso di flemma di stampo conservativo rispetto a un dinamismo richiesto da Renzi e dal suo consigliere per le politiche industriali, Andrea Guerra, già capo azienda di Luxottica.

Su Ilva, Renzi e Guerra si aspettavano evidentemente una maggiore collaborazione della Cdp, in termini sia di reattività che in termini finanziari. Ma i paletti dello statuto di Cdp e pure del Fondo strategico (Fsi) sono chiari: la Cassa non può investire in aziende che non hanno dato utili nei due anni precedenti. Dunque Ilva è esclusa dal novero. Ci si poteva magari inventare altre soluzioni che non fossero di tipo azionario, secondo le volontà renziane di cui si vocifera. Così come il tribolato fondo di turnaround che sta partendo ha visto un ruolo non di primo piano da parte della Cdp (in questo paper di Bassanini si ripercorrono tutte le tappe della faccenda con il ruolo che può avere Cdp stante i vincoli statutari e di contabilità nazionale ed europea), come invece – pare – si attendevano a Palazzo Chigi.

Frizioni si sono avute anche sulla questione Telecom. In questo caso le ricostruzioni sono diverse e a volte contraddittorie. La vulgata più recente dice che il governo vede di buon occhio un ingresso di Cdp in Telecom per tutelare da un lato un asset strategico (la rete fissa in rame e i cavi di Telecom Sparkle), per dare una spinta alla rete di nuova generazione in fibra ottica e comunque agli investimenti dell’ex monopolista e, dall’altro lato, per sventare un baricentro straniero, ovvero francese, di Telecom. In quest’ultimo caso è stata notata una dichiarazione del presidente Giuseppe Recchi non barricadera su un eventuale, ipotetico, ingresso di un soggetto pubblico in Telecom (questi e altri dettagli nel pezzo di venerdì scorso con le prime idee di Guerra su Cdp). Eppure da ambienti Telecom tempo fa si stimmatizzava un progetto attribuito a Bassanini per un’entrata di peso di Cdp in Telecom. Ma ora, se davvero Cdp punterà su Telecom, che cosa ne sarà del progetto di Metroweb con Vodafone e Wind? Questo progetto, che mira ad estendere la rete in fibra ottica nelle maggiori città, sarà assecondato o accantonato dalla nuova Cdp visto che Metroweb è partecipata dalla Cdp sia attraverso il fondo strategico (Fsi) controllato dalla Cassa sia dal fondo F2i partecipato d Cdp?

C’è poi il piano di una Export Banca di Cdp. Un progetto su cui i vertici della Cassa vanno da tempo con i piedi di piombo, stoppando pure le aspirazioni della controllata Sace guidata da Alessandro Castellano di dar corso, appunto, a Export Banca, per gli effetti patrimoniali del progetto con ricadute non del tutto positive in termini di finanziamenti erogabili da parte di Cdp, secondo i vertici via di rottamazione della Cassa. E l’arrivo di due banchieri di rango in Cdp, come Costamagna e come l’ad di Bnl-Bnp Paribas, Fabio Gallia, potrebbe rafforzare questa direzione di marcia.

Come si vede, ci si basa su ipotesi e ricostruzioni che non hanno il timbro dell’ufficialità visto che il ministero dell’Economia è atarassico sul dossier (anche se controlla la Cdp con l’80 per cento, ma evidentemente è una pure finzione nel governo Renzi) e il premier giorni fa ha garantito che si apprestava a sostituire i vertici della società del Tesoro per “motivi tecnici” che “per forza” imponevano al governo di intervenire.

Ma di questi “motivi tecnici” non vi è traccia nel comunicato stampa della presidenza del Consiglio di venerdì scorso in cui si annunciava – nell’ambito di una operazione di rilancio di Cdp – la sostituzione del presidente Bassanini (nel frattempo nominato consigliere speciale di Palazzo Chigi) con Claudio Costamagna.

Qualche elemento in più sui motivi dell’intervento governativo si possono rintracciare nelle parole di Andrea Guerra, quando venerdì scorso a Radiocor ha detto: “È ovvio che, vista la situazione dei tassi complessiva, è importante che la Cassa abbia un nuovo progetto, un nuovo programma all’interno della sua missione, del suo Statuto con più proattività, incisività e in un orizzonte di lungo periodo”.

Evidentemente c’è molto di vero in quelle ipotesi anzidette (Guerra ha però definito “fantasie” le ipotesi su Telecom), così come sono già allo studio interventi di Cdp, tramite Fsi, su Saipem e su altre aziende, ma il premier preferisce dispensare frottole su “motivi tecnici” che obbligano “per forza” a intervenire.

Si spera che gli investitori internazionali non si accorgano dei modi in cui il presidente del Consiglio italiano maneggia una società controllata dallo Stato che detiene partecipazioni di peso – controlla il 25,7% di Eni, il 100% di Sace, il 59% di Cdp Reti (che ha le quote di controllo di Snam e Terna), il 77% del Fondo strategico italiano (Fsi), il 100% di Fintecna e altro ancora – e che ha questi numerini: partecipazioni in 424 aziende, attivi per 401 miliardi, un patrimonio raddoppiato a 35 miliardi e 3,8 miliardi di dividendi distribuiti in 5 anni, come ha calcolato oggi il Corriere Economia.

Meglio il silenzio del Tesoro o le bugie di Palazzo Chigi?


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