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La deontologia del giornalismo in Rete. L’analisi di padre Occhetta (Civiltà Cattolica)

democrazia

Anche le pratiche di comunicazione e di giornalismo in Rete richiedono di ripensare il fondamento della deontologia: da una parte gli antichi diritti fondamentali, dall’altra le nuove manifestazioni di libertà del pensiero oramai globalizzate. Va premesso però che «comunicazione» e «connessione» non possono essere confuse: «la società della Rete aumenta in maniera esponenziale le possibilità di “connessione” ma le opportunità di accedere, condividere e, soprattutto, poter elaborare conoscenza e informazioni per la maggioranza degli attori sociali sono ancora lontane dal concretizzarsi».

Per il costituzionalismo moderno la manifestazione del pensiero era legata alla stampa e alla televisione, oggi invece sono le nuove piattaforme tecnologiche, come la Rete e le applicazioni, ad avere ampliato la libertà di espressione. Ha dei limiti la libertà di manifestare il proprio pensiero? Quale organo la regola? Le legislazioni degli Stati sono invecchiate in pochi anni.

Del resto, l’eccesso di informazioni sta compromettendo la capacità di analizzare le notizie: oggi, è stato detto, che sono le notizie che inseguono il giornalista e non viceversa . Secondo Franco Pizzetti, già presidente dell’Autorità Garante della Privacy, inscrivere le nuove tecnologie «dentro le categorie interpretative classiche della libertà di comunicazione e di diffusione del pensiero» è limitativo. Può ritorcersi contro la libertà e la tutela dei cittadini rifiutare un controllo minimo dei Parlamenti sull’esercizio a manifestare il proprio pensiero in Rete. È questa la posizione di coloro che riconoscono l’uso della Rete e dei suoi servizi come un diritto soggettivo che non si deve regolamentare.

Anche in Rete «il cittadino di internet», oltre ad avere livelli di «libertà aumentata», deve poter riscrivere il catalogo dei propri doveri e responsabilità. Le regole del giornalismo del web non possono essere considerate diverse dalle regole e dalle leggi delle Carte tradizionali nazionali e internazionali, ma è urgente pensare una carta per i diritti della Rete che integri i diritti fondamentali regolati dalle Costituzioni classiche.

Il nuovo processo di catalogazione dei nuovi diritti e doveri dei giornalisti e comunicatori lo sta scrivendo la giurisprudenza. È per esempio il caso della sentenza della Corte di Giustizia europea dello scorso 13 maggio, che ha imposto a Google search di rispettare il diritto all’oblio per la violazione della privacy evitando così di pubblicare dati sensibili, pur leciti, senza il consenso dell’interessato. Il motore di ricerca diventa «il responsabile del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web» come se fosse un editore, e una Authority ha il potere di far cancellare i dati personali .

La giurisprudenza potrebbe traghettare il vecchio diritto verso il nuovo, «sperare cioè nella formazione di una sorta di koiné giudiziaria dei diritti fondamentali, specificamente nel loro rapporto con le nuove tecnologie» . Limitarci a questo non basta.

È urgente riprendere una questione che si sono posti i padri della Rete: internet è un diritto fondamentale oppure è uno strumento per il godimento di alcuni diritti? Se gli Usa, da una parte, Cina, Russia e molti Paesi arabi dall’altra, hanno posizioni opposte sul rapporto tra diritti di libertà e Rete, solamente una governance internazionale potrà riscrivere una nuova carta dei diritti e dei nuovi doveri della comunicazione. Occorrono regole certe e forti «sottoposte ad altrettante robuste forme di controllo e di verifica per assicurare che la Rete possa essere anche in futuro […] il terreno della libertà e della autorealizzazione di sé e non il mondo della paura e del controllo» .


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