L’economia italiana va meglio dell’atteso. È indispensabile cogliere l’opportunità di innalzare il potenziale di crescita del Paese offerta da fattori molto favorevoli. L’incremento del PIL nel primo trimestre è stato più alto delle stime CSC e rende possibile raggiungere nel 2015-16 risultati superiori alle previsioni prevalenti.
L’accelerazione già dalla primavera è nelle carte delle spinte esterne (cambio, tassi, petrolio, ripresa USA e nel resto dell’Eurozona) ed è confermata dagli indicatori disponibili. Ciò aiuta la fiducia e, dunque, consolida il miglioramento. I progressi congiunturali non vogliono dire che le gravi conseguenze della crisi spariscano né fanno dell’Italia un’economia dinamica: la performance rimane inferiore a quelle tedesca, spagnola, inglese e, perfino, francese. Solo proseguendo lungo la strada delle riforme si potrà chiudere il divario di crescita e, soprattutto, aumentare sensibilmente occupazione e reddito degli italiani.
Il ritardo rispetto a quanto necessario resta ampio, nonostante il grande sforzo in atto abbia già dato importanti risultati. Due aspetti vanno tenuti ben presenti: la finestra internazionale propizia è una tantum e temporanea; gli altri paesi non stanno immobili, ma sono un cantiere aperto di cambiamenti, più o meno profondi e rapidi. Quindi per recuperare terreno serve operare a velocità superiore alla loro. La Grecia rappresenta il rischio più immediato dello scenario: l’esito del braccio di ferro è sempre più incerto e un incidente di percorso più probabile. Per ora i mercati finanziari sono stati colpiti solo in piccola misura dal contagio, grazie anche al cordone sanitario eretto dalla BCE.
Un default ellenico danneggerebbe le banche pure altrove, penalizzandone un’altra volta la capacità di dare credito. La fiducia di famiglie e imprese ne risentirebbe. Non sembra saggio provare a vedere l’effetto che fa.