Skip to main content

Mafia Capitale o Sanità Dilettantesca?

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Edoardo Narduzzi apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.

L’insegnamento dei giornalisti investigativi americani del caso Watergate serve come un faro per orientarsi nei meandri di Mafia Capitale. «Puntate all’origine dei soldi per scoprire la verità», consigliarono qualche anno dopo che avevano realizzato l’unico impeachment nei confronti di un presidente americano nella storia. E l’origine dei soldi, di quelli pubblici purtroppo, anche nel caso di Mafia Capitale inizia a farsi chiara. L’ultima ondata di arresti, ben 44, quindi una vera retata che umilia la capitale di un paese del G7 agli occhi del mondo, ha coinvolto anche Guido Magrini, uno che lo stesso Salvatore Buzzi definiva come il «Padreterno» alla Regione Lazio. Ma chi è questo Magrini e perché ricostruire la sua storia politica e professionale è così importante per capire la trasversalità e la corruzione bipartisan che ha infettato Roma negli ultimi lustri?

Il giovane Magrini è il segretario della sezione del Pci di Campo dei Fiori. Siamo nella prima repubblica ma quella è una sezione storica dei comunisti romani. Viene poi assunto come funzionario alla Lega delle cooperative. Arriva in Regione Lazio nel 1995, quando diventa assessore al bilancio un altro Pci storico di Roma, Angiolo Marroni, lo stesso che è stato immortalato nella celebre foto della tavolata che festeggia il contratto della cooperativa di Buzzi con il Comune di Roma e alla quale parteciparono anche il sindaco Alemanno ed il ministro del welfare Poletti.

Sono i tempi della giunta Badaloni ed ovviamente Magrini entra in Regione per chiamata diretta. Dopo un anno, diventa direttore dell’area Bilancio, nel 1999 passa alla direzione del dipartimento Economia e finanza e dal 2001 è scelto come direttore della direzione Bilancio. Nel 2005 arriva al top: oltre al Bilancio, gli vengono attribuite le funzioni vicarie del Dipartimento economico. Sulla prima poltrona resta seduto fino a settembre 2010, quando al suo posto subentra Marco Marafini, «attraverso un concorso interno al quale, da esterno, non avrebbe potuto partecipare», precisa Roberta Bernardeschi del sindacato dei dirigenti della Regione Lazio. La seconda poltrona, Magrini la lascia nel 2013, sempre a beneficio del giovane Marafini, perché nell’aprile dello stesso anno, il presidente neoeletto Nicola Zingaretti lo nomina, con un compenso annuo a carico dei contribuenti di 211 mila euro lordi, direttore della direzione regionale delle politiche sociali.

Insomma Magrini resiste al comando dei cordoni della borsa della Regione Lazio con ogni maggioranza politica: Badaloni, Storace, Marrazzo, Polverini e Zingaretti.

Non può stupire, quindi, che Buzzi, parlando con la propria compagna, rivendica come un asset fondamentale il suo rapporto stretto con Guido Magrini, «è amico mio mio mio », e sfogliando la delibera regionale aggiunge: «È potentissimo lui Guido ha fatto questa cosa per noi!». Il 19 novembre 2013 Buzzi annuncia trionfante: «Magrini ha trovato 16 milioni di euro». Dopo un mese, la giunta di Zingaretti approva la delibera 470 che stanzia 16,5 milioni di euro per l’emergenza abitativa in Regione Lazio. Come si legge all’inizio della delibera, il soggetto proponente è la Direzione regionale per le politiche sociali, la struttura guidata da Guido Magrini. Quando la situazione si fa difficile, Zingaretti, che si era già visto arrestare, per fatti diversi, dalla magistratura romana altri due dirigenti apicali regionali, quali Raniero De Filippis e Luca Fegatelli, corre ai ripari e nomina Magrini in una posizione dirigenziale individuale di studio e ricerca per 155mila euro annui di retribuzione più un premio annuo di risultato pari al 30% del lordo base: neppure in Banca d’Italia un ricercatore di qualità internazionale percepisce tanto.

All’inizio del 2006 lo incontrai personalmente. Il disavanzo della sanità laziale viaggiava nell’intorno di 1,5 miliardi annui ed il debito accumulato era il più importante d’Italia. Volevo capire con quali strumenti tecnologici gestiva e controllava una spesa sanitaria di 10 miliardi annui. La conversazione che si produsse durante quell’incontro nella sua stanza di dirigente della Regione Lazio è una delle più surreali della mia intera storia professionale. Una piéce degna del teatro dell’assurdo di Ionesco. Gli chiedo di farmi capire quale strumento di reportistica e di analisi degli indicatori di spesa utilizzi. Lui prende dalla tasca interna della sua giacca il portafoglio, ne estrae un foglietto di carta ripiegato almeno quattro volte e pieno zeppo di annotazioni a matita. «Le diverse fonti di spesa della sanità sono tutte qui, le porto sempre con me», mi rispose. Pensavo fosse un scherzo e gli precisai la mia domanda: «Vorrei capire come tiene sotto controllo l’andamento della spesa farmaceutica o quella di una singola Asl per capire che tra budget e avanzamento della spesa corrente non ci sia alcuno scollamento che non viene colto e che si trasforma in disavanzo ad anno chiuso quando nessuna politica correttiva è più possibile?».

«Allora la spesa per i laboratori di analisi vale circa 700 milioni annui e la paghiamo tramite il San Giovanni .», iniziò a leggere gli appunti a matita per darmi evidenza che a lui della tecnologia non gliene poteva importare nulla e che tutto era controllato con carta e matita in pieno ventunesimo secolo. Ora, dopo le migliaia di pagine dell’inchiesta Mafia Capitale, tutto diventa terribilmente chiaro. I conti tenuti da questo mega dirigente politicizzato, vestito come un venditore di piadine alla Festa dell’Unità tanto anonimo e dismesso doveva apparire, dovevano essere tenuti con la matita: volatili, indirizzabili, modificabili se e quando la politica lo avesse richiesto. La politica passata nelle mani degli ex fascisti e degli ex comunisti romani, quelli che negli anni Settanta e Ottanta se le davano di spranga in piazza, e che diventate forze di governo hanno deciso di inciuciare senza soluzione di continuità elettorale.

Ecco spiegato perché l’inchiesta della Procura di Roma farà cadere la giunta della Regione Lazio: i magistrati sono già arrivati alla fonte dei quattrini ed ora devono solo organizzare le carte, poi sarà un vero ed originale tsunami politico.


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter