Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori e dell’autore, pubblichiamo il commento dell’economista Paolo Savona uscito sui quotidiani del gruppo Class diretti da Pierluigi Magnaschi
L’intervista concessa di recente dal ministro Padoan a Repubblica insieme sorprende e sconforta. Sorprende perché inizia riconoscendo l’esistenza dei problemi che affliggono l’Europa; sconforta perché di seguito accredita il mix di politiche che essa ha preso nel corso della crisi.
Esordisce infatti affermando che “l’andamento dell’economia e dell’occupazione nell’Eurozona resta deludente a causa della bassa domanda e dei persistenti impedimenti strutturali … [e] mette in luce le imperfezioni e l’inefficacia dell’architettura dell’Unione economica e monetaria”.
Prosegue affermando che la disaffezione nei confronti dell’Europa è estesa e quindi “l’Unione deve scegliere tra l’ipotesi di trascinarsi stancamente su un sentiero di crescita debole e quella di affrontare con determinazione le sfide poste dalla crisi, per innalzare il potenziale di crescita, promuovere la convergenza, favorire una ripresa sostenuta dell’occupazione in un ambiente macroeconomico stabile, rafforzando così la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dell’Europa”.
Allora non è vero che il Governo non capisca quali siano i problemi da affrontare; ma dopo una tale premessa uno si attenderebbe che segua una programma preciso per affrontare questa drammatica situazione sul piano economico e su quello politico.
Invece, subito dopo, Padoan afferma che “l’attuale mix di politiche messe in campo dall’Ue va nella giusta direzione: il quantitative easing sta dispiegando i propri effetti positivi sul quadro macroeconomico e i mercati finanziari; il consolidamento delle finanze pubbliche ha assunto una prospettiva di più lungo termine, anche grazie alla Comunicazione della Commissione sulla flessibilità e al Piano Juncker… [che] rappresenta un’opportunità importante per rilanciare gli investimenti con un supporto pubblico”.
Il problema non è quindi quello di una bassa domanda e imperfezioni dell’architettura europea, ma solo di politiche che “devono essere ulteriormente rafforzate”. Segue perciò la solita richiesta di migliori riforme “quale parte di convergenza delle economie dell’Eurozona … in particolare per i mercati del lavoro, che vanno resi più flessibili ed efficaci così da facilitare l’aggiustamento dell’area monetaria”.
Spero che l’attribuzione alla riforma del mercato del lavoro il compito di “aggiustare” i difetti dell’area monetaria sia frutto dell’interpretazione datane dall’intervistatore e di una svista in sede di revisione della stessa da parte dell’entourage di Padoan, perché se così non fosse le preoccupazioni sul futuro dell’Europa si accrescerebbero. Padoan, come la dirigenza europea, nega il problema della non ottimalità dell’euroarea in quanto caratterizzata da divari di produttività strutturali, che richiedono ben altri strumenti per essere corretti.
A ben valutare, però, riconoscere i problemi esistenti nell’Unione legati ai difetti dell’architettura istituzionale e delle politiche e poi sostenere che l’Europa procede nella giusta direzione non sembra l’aspetto principale che ha mosso l’intervista, anche perché ripete la giaculatoria consueta del rito europeo. Ciò che conta è la conferma che a fine giugno si muoverà un importante passo verso “un livello crescente di integrazione fiscale”, leggi perdita della sovranità fiscale nazionale, in contropartita di “un sistema europeo di assicurazione contro la disoccupazione ciclica”.
Pur non essendo presentato come uno scambio, la proposta si presenta come tale, ma sarebbe iniquo e svantaggioso per l’Italia, non solo per la qualificazione “ciclica” della disoccupazione di riferimento che lascia fuori quella strutturale nascente dal dualismo Nord-Sud, ma perché ben sappiamo che questa sovranità, come già accaduta per quella monetaria, non ci verrà restituita potenziata, ma solo vincolata; il presupposto, anch’esso già verificato come inconsistente a seguito delle altre rinunce di sovranità, è che la cessione unitamente alle riforme farebbero convergere la nostra crescita verso quella europea. Il risultato del patto sarebbe quello di trasformare l’Italia in via definitiva in una colonia economica e politica.
Come se non bastassero le esperienze fatte, la sospensione odierna degli accordi di Schengen da parte della Germania dovrebbero pur insegnarci qualcosa.