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Perché nel Pd serve un po’ di sano centralismo democratico

Non è vero che Susanna Camusso conta come il due di picche: in Veneto ha invitato a non votare Alessandra Moretti, e avete visto cosa è successo.

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Rosy Bindi ha chiesto un risarcimento al suo partito. Ha ragione: si merita quanto meno il pensionamento anticipato.

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Gli occupati aumentano (Istat) e i diritti dei lavoratori diminuiscono (Maurizio Landini): non esistono i fatti, ma solo le interpretazioni (Friedrich Nietzsche).

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Quante sono le sue minoranze interne ancora non è chiaro, ma forse nel Pd un po’ di sano centralismo democratico non guasterebbe.

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Il Pd è un partito di destra, di centro o di sinistra? Per rispondere, prima occorrerebbe stabilire se è un partito.

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“Una volta il rimorso veniva dopo, adesso mi precede” (Ennio Flaiano). È quello che mi capita quando scelgo di vedere in televisione “Ballarò” e “Dimartedì”: tutti parlano (di solito contro Renzi) e nessuno ascolta.

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“Possibile”, la nuova formazione politica fondata da Pippo Civati, mi ricorda il “coltello senza lama a cui mancava anche il manico” (Georg Lichtenberg).

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Matteo Salvini ha dichiarato di essere pronto a governare gli italiani. Ma gli italiani sono pronti a essere governati da lui?

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L’aforisma è arrivato fino a noi attraverso passaggi culturali e linguistici – ha osservato Gino Ruozzi – culminati in alcune età dell’oro: la Grecia di Ippocrate, la Spagna di Gracián, la Francia di La Rocheaufoucauld e Pascal, la Germania di Goethe, l’Inghilterra di Wilde, l’Austria di Kraus, la Polonia di Lec, l’Italia di Guicciardini e Leopardi (e poi di Longanesi e Flaiano). Oggi dobbiamo accontentarci del tuìt, ruvido artigianato della chiacchiera. Renzi, #staisereno, in questo sei imbattibile.


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