Torna a veleggiare a quota 65 dollari al barile il Brent, dopo aver toccato minimi sotto i 50 solo un mese fa (intorno ai 40 i minimi delle quotazioni dell’americano Wti, oggi a 60), con un crollo che nel primo trimestre del 2015 ha fatto perdere all’oro nero oltre il 60% del suo valore. Una parabola discendente che sarebbe stata inimmaginabile solo qualche anno fa e che è stata generata per lo giù dall’eccesso di offerta e dalla decisione del cartello dell’Opec, i Paesi del fronte arabo che la fanno da padrone in termini di produzione, di non ridurre la quota di barili che viene processata ogni giorno. Un tracollo che avrebbe dovuto trascinare con sé interi comparti e far tremare il mondo ma che, a ben vedere si è tradotto in qualche profit warning per le major del petrolio e nella promessa di Pil maggiorati in tutti quei Paesi importatori che si sono visti recapitare inaspettatamente una bolletta energetica molto più economica che in passato.
PETROLIO DEPOTENZIATO DALLA COMPLESSITà
Un trend particolarmente evidente nei Paesi emergenti, che hanno spesso di muoversi all’unisono e che si trovano divisi in due blocchi contrapporti. Chi vince e chi perde ora? “La risposta banale a questa domanda è: vincono i Paesi consumatori, perdono i produttori – dice Alessandro Picchioni, Responsabile investimenti di WoodPecker Capital – In realtà il mondo è diventato più complesso e globale: più Paesi producono, più tecnologie competono, più fonti di energia sono a disposizione, più vincoli di emissioni di CO2 esistono. A causa di questa situazione la domanda di prodotti petroliferi è diventata molto più rigida e quello che un tempo si sarebbe rivelato come una autentico shock e panacea per i consumi, come appunto il prezzo del petrolio sceso del 60% in tre mesi, oggi ha un effetto positivo depotenziato. Secondo noi l’aspetto più rilevante è che siamo passati in poco più di un ventennio dalla guerra tra Stati fatta per accaparrarsi la fornitura di petrolio alla guerra fatta con il petrolio, che diviene quindi un’arma in possesso di alcuni Paesi (produttori) da puntare contro altri Paesi (produttori e non). Si pensi alla decisione presa in sede Opec a novembre 2014 (mancato taglio produttivo) che ha tutta l’aria di essere una guerra dichiarata dai produttori petroliferi a basso costo a quelli ad alto costo. Assisteremo agli sviluppi della stessa nel corso della prossima riunione Opec prevista per il 5 giugno”.
SE LA BENZINA COSTA MENO, SI SPENDE DI Più?
Una guerra che però ha avuto effetti positivi in Usa e in Europa dove ha fatto crescere la fiducia e promette di stimolare i consumi. O forse no. “La domanda da farsi è – continua Picchioni – qualcuno ha visto calare la propria bolletta elettrica in maniera molto significativa? E qui si potrebbe parlare molto delle inefficienze della distribuzione di energia, specialmente nei Paesi europei. Oppure qualcuno ha aumentato decisamente la propria propensione a viaggiare o a consumare perché la benzina è scesa alla pompa del 15%? Per motivi diversi, anche nelle economie evolute uno shock del prezzo del petrolio diventa marginale. In Europa il carico fiscale su questi prodotti è tale che il prezzo finale alla pompa varia solo di poco e l’incidenza della componente energetica sul costo finale dei prodotti e dei servizi è diventato nel corso del tempo sempre meno importante. Inoltre molti Paesi europei sono alle prese con la “sparizione” della classe media in presenza di una elevatissima disoccupazione giovanile, tutto questo tende ad attenuare di molto il pur positivo impatto di un calo del prezzo del petrolio. Negli Usa gli effetti positivi dei prezzi ribassati sono in linea di massima superiori, data la maggiore efficienza energetica del Paese, ma si compensano con la brusca frenata degli investimenti sullo “shale oil” a cui stiamo assistendo in questo periodo, dovuti proprio al brusco calo ed all’incertezza sul prezzo del petrolio”.
PER GUADAGNARE GUARDARE AI TREND ENERGETICI DEL FUTURO
Insomma, alla fine l’effetto è stato quello di un colpo di cannone che tenta di uccidere un moscerino. E anche le discrepanze nei prezzi che si creano con le inefficienze dei mercati non sono state così utili per aumentare le performance di portafoglio. “Viviamo tempi in cui quegli eventi macro che hanno un impatto sui mercati, tendono a manifestare i loro effetti in un lasso di tempo brevissimo – spiega Picchioni – Non appena gli investitori realizzano l’evento sono già in coda per scaricare sul mercato i loro acquisti e/o vendite. La mancanza di tempestività in questa partita decreta il fallimento di una strategia, per cui non appena la logica di un investimento diviene evidente, in presenza di buoni ritorni generati nel recente passato, il rischio di un suo fallimento per i ritardatari che la implementano è enorme”. Insomma, o si ha un ottimo tempo di reazione o è bene rinunciare del tutto. “Se invece si volesse cercare un tema a lungo termine – conclude lo strategist – non dovremo concentrarci sulla direzione dei prezzi del petrolio (commodity probabilmente entrata nella sua parabola discendente) ma piuttosto sugli attori che potrebbero essere i protagonisti di una prossima rivoluzione energetica. L’energia elettrica sarà sempre più importante nel mondo, le auto elettriche sono ormai realtà. Chi realizzerà i metodi per produrla, non partendo più da prodotti minerali, e soprattutto per immagazzinarla e trasportarla in maniera efficiente e veloce sarà il leader del futuro generando ritorni potenzialmente enormi sul capitale investito”.
I fan di Tesla&Co sono avvisati.