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Riflessioni sul voto delle regionali. Che succede al PD di Renzi?

Le elezioni regionali ci hanno consegnato, per usare una metafora calcistica, un 5 a 2 a favore del Partito Democratico. Se la politica fosse come il calcio ci potremmo fermare qua: il PD ha vinto. Ma, per fortuna, la Politica è qualche cosa di molto più complesso e dunque dietro a quel semplice dato si nascondono molte altre possibili analisi e interpretazioni.

Chi vince e chi perde? 

Oggi leggevo l’analisi di Salvatore Vassallo sull’esito delle elezioni regionali e ho trovato degli spunti interessanti di riflessione, ma anche dei distinguo che vorrei esprimere brevemente qua.

Senza dubbio le elezioni regionali non sono le elezioni politiche, ma lo stesso discorso vale per le elezioni europee. Tuttavia, è stato scelto di usare il 40,8% delle europee come una mannaia contro tutto e tutti… dimenticandosi completamente che appunto ogni elezione ha una sua specificità. Vassallo ha ragione quando ci dice di ricordare che le dinamiche regionali non sono le stesse delle politiche e dice una cosa molto interessante e giusta quando ci suggerisce di guardare a quell’universo di liste civiche e/o del Presidente che si creano a sostegno dei vari candidati.

Nella tabella che lui propone nell’articolo è evidente che con il passare degli anni queste liste hanno acquisito sempre più peso. Quello su cui non mi trovo in accordo è il dare per scontato (assumere che) quegli elettori siano tutti parte della “casa madre”. Suggerisco invece di considerare un’altra opzione: le liste non partitiche classiche aumentano in modo importante negli ultimi dieci anni. Ossia, in concomitanza con il diffondersi del fenomeno dell’astensionismo endemico. Mi sembra plausibile ipotizzare che quelle % indicano gruppi di elettori sicuramente vicini alle aree di riferimento Centro-Destra o Centro-Sinistra, ma che non vogliono votare né il PD né Forza Italia, per esempio. Potrebbe anche essere plausibile che in occasione delle elezioni politiche o europee quelle persone si dividano tra chi resta nell’area dell’astensione e chi “butta” il voto nel calderone più grande, come scriveva Michele Serra qualche settimana fa dopo l’uscita di Pippo Civati dal PD. Non è nemmeno assurdo ipotizzare che, come nel caso campano, elettrici ed elettori del centro-destra per esempio, vogliano sostenere un candidato che apprezzano, ma sono persone che con molta probabilità hanno la casa-madre altrove. Guardiamo alla lista De Luca Presidente, per esempio, che ha raccolto il 4,9% dei consensi o quella di Campania Libera, un altro 4,7%. In Toscana invece è accaduto l’opposto, il PD ha fatto il 46% e la lista di accompagnamento appena l’1,5%.

Se quelle liste fossero di persone che in occasione delle elezioni europee o nazionali votano poi per la casa-madre, allora si deve assumere che in Veneto, il Centro Destra abbia un consenso del 63% circa, dato che la lista a sostegno di Tosi ha preso il 12% e quella di Zaia ha preso il 23% a cui si aggiunge il consenso della Lega 18% e poi le altre liste. Mi sembra però che il dato non sia confermato dall’esito delle elezioni europee precedenti né da quelle politiche.

Vassallo, comunque, quantifica il risultato complessivo del PD attorno al 37%. Conferma una flessione molto più lieve rispetto a quella che emerge se viene considerato solo il risultato del PD come partito. Non ho sotto mano il database di Vassallo e mi guardo bene dal dire “sbaglia”, ma mi permetto di dire che forse è troppo ottimista e che non ha considerato anche l’opzione che citavo sopra. O se lo ha fatto gli ha dato un ruolo quasi nullo.

7 regioni al voto e 7 risultati 

L’unico dato comune tra le sette regioni è quello della bassa affluenza alle urne: Veneto 57%, Liguria 50%, Toscana 48%, Umbria 55%, Campania e Puglia 51% e Marche 49%. Questo incremento dell’astensione deve suonare alla Politica nel suo insieme come un segnale di grave scollamento tra cittadine e cittadini e le istituzioni. Non è accettabile credere che sia una cosa passeggera o non grave: rispetto al 2010 le variazioni sono oscillate tra il 6 e il 10%. Può la Politica ignorare questo campanello d’allarme? 

Liguria e Veneto: che sconfitta!

Malgrado il 5 a 2 come si diceva, queste elezioni amministrative hanno dato una sonora sberla al Governo e soprattutto alla dirigenza attuale del Partito Democratico. Sarebbe ipocrita non dircelo. E trovo, ma questa è una mia valutazione personale, estremamente triste che sia iniziato il gioco dello scarica-barile: un partito che non è in grado di riconoscersi delle responsabilità, nel bene e nel male, non è un partito maturo. E i politici che fanno ora la caccia alle streghe si dimostrano di scarso spessore. Faccio un piccolo parallelo con la realtà politica tedesca: 2015, a Brema, il candidato sindaco dell’SPD, il corrispettivo tedesco del PD (ma solo per quanto riguarda l’appartenenza al gruppo europeo) era anche il sindaco uscente (faccio presente che Brema, come Berlino, è una città Stato e dunque il Sindaco è anche Governatore). Ha vinto con un buon margine sull’avversario, ma ha preso il 6% in meno di consenso (dal 38% al 32%). Ebbene, egli ha ritenuto che un candidato che fa perdere il 6% di consenso al proprio partito, anche se ha vinto, non ha diritto di governare e si è dimesso il giorno stesso.

Questa è la mia idea di maturità politica e di capacità di assumersi le responsabilità. Non mi aspetto certo tanta purezza d’animo, però leggere che la candidata Paita esce sconfitta per colpa di Pastorino e Civati fa sorridere. La situazione ligure era molto complessa e la dirigenza nazionale del PD ha sbagliato semplicemente a candidare un’esponente dell’amministrazione uscente che è stata reputata, da elettori di destra come di sinistra, fallimentare. Inoltre, non dimentichiamoci del caos delle primarie, su cui sta ancora indagando la magistratura. Se la dirigenza nazionale del PD non è stata capace di creare una sintesi tra posizioni diverse e anzi, con i mesi passati, ha martellato senza sosta l’ala sinistra del partito, mortificandola e di fatto cacciandola, deve assumersi anche la responsabilità degli effetti di tale strategia. Forse senza la sinistra il PD non vince comunque. E questo perché? Perché non è stato in grado, questo partito, di fare proseliti a destra.

Anzi, le considerazioni di Vassallo, con i distinguo che ho fatto prima, mettono in evidenza un trend che non si può sottovalutare che è quello del centro-destra che recupera, grazie al ruolo della Lega Nord di Matteo Salvini, olte il 12% del consenso rispetto al 2014.  Arrivando a soffiare sul collo del centro sinistra e quindi facendo cadere ogni progetto di Partito della Nazione che era balenato nella testa di alcuni. E per quanto mi riguarda dico: per fortuna!

Stesse dinamiche valgono per il Veneto dove evidentemente la candidatura di Alessandra Moretti non era adeguata, come sottolinea anche Roberto D’Alimonte. 

Lo scontro Bindi-De Luca e gli errori del PD

Un’altra questione da presentare in queste Regionali 2015 è la guerriglia contro la Presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi. Assurdo, totalmente assurdo, che il Partito Democratico non si sia premurato di fare una verifica delle proprie candidature e soprattutto assurdo che abbia candidato Vincenzo De Luca in Campania.

La Commissione Antimafia aveva,nel suo complesso, e con l’appoggio di tutti i partiti, approvato nel 2013 un Codice di Autoregolamentazione che la Presidente si è limitata ad attuare. De Luca, molto semplicemente non andava nemmeno presentato come candidato. E il fatto di aver preso voti non può in nessun modo giustificare la scelta compiuta dalla dirigenza PD. Dopotutto, era la stessa argomentazione di Silvio BerlusconI: mi votano, quindi vado avanti. No, il ruolo di una dirigenza di Partito sta proprio qua: verificare e indirizzare le scelte, altrimenti cosa ci sta a fare? Adesso accadrà che non appena insediato decadrà, perché la legge Severino prevede proprio questo. E sarà davvero difficile procedere a una modifica ad hoc della legge per consentire a De Luca di restare dove è.  Sarebbe un grave danno all’idea di legalità che il PD porta avanti e un chiaro uso ad personam delle istituzioni che assolutamente non vogliamo vedere.

Toscana e Puglia isole felici

Il caso della Toscana è l’unico, con quello dell’Umbria a rappresentare la riconferma forte del PD. Merito anche della personalità che è stata candidata: Enrico Rossi rappresenta un buon candidato e gli elettori lo hanno confermato. Inquietante l’ascesa nella rossa Toscana della Lega Nord di Salvini ,che arriva al 18%. In Puglia, invece, è Michele Emiliano a vincere e anche con un ampio consenso, eppure di lui poco si parla. Il motivo, evidente, è che non è un candidato espressione della volontà della dirigenza PD nazionale, come Moretti e Paita, eppure ha vinto e anche molto bene. Sarà interessante vedere come collaborerà con il M5S se lo farà.

Tri-partitismo?

Il M5S, come spiega bene D’Alimonte, ha ottenuto ottimi risultati. L’esperienza di questi ultimi anni indica che il Movimento creato da Beppe Grillo ha smesso, forse, di avere un approccio autoreferenziale e ha iniziato a radicarsi nei territori. I risultati di Liguria (24%), Campania (17%) e Puglia (18%) lo dimostrano chiaramente. Non hanno brillato, ma non sono andati nemmeno tanto male in Toscana (15%) e Umbria (14%) mentre in Veneto hanno raggiunto giusto il 10%. Quello che si prospetta, quindi, è l’affermarsi di un terzo partito forte oltre al PD e alla Lega Nord di Salvini.

Conclusioni (provvisorie)

Queste elezioni Regionali consegnano il governo di altre 5 regioni al PD, ma con una brusca frenata rispetto alle idee di Matteo Renzi. Abbiamo perso consenso in numero assoluto di voti e in termini %. Una cosa che non può essere sottovalutata. Il tutto unito a un affermarsi da un lato dell’astensionismo e dall’altro dei partiti un po’ più radicali come la Lega Nord e Fratelli d’Italia, che in questa sfida accompagnava Salvini. Renzi ha perso un pezzo di elettorato a sinistra, anche molto consistente, e non ha recuperato quasi niente a destra. C’è da dire che non amo molto l’idea di raccattare consenso a destra se questo significa considerare la tua sinistra una zavorra anziché un patrimonio da portarti dietro e una ricchezza quindi. Certo che dobbiamo convincere elettrici ed elettori di destra a sostenere il progetto del Partito Democratico che non deve però snaturarsi né diventare altro da sé. Questa è la vera sfida: portare quelle elettrici e quegli elettori a votare il PD perché ne hanno condiviso progetti e valori. Non deve essere il contrario. Altrimenti il risultato è evidente: smottamento e ridimensionamento.

La vera sfida oggi è ricostruire il PD nella sua identità e nella sua struttura. Sì, identità e struttura come dicevo altrove. Altrimenti il progetto non andrà molto lontano.

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