“La dama di picche” di Petr I’llic Thcajkovskij torna dopo sessanta anni al Teatro dell’Opera di Roma. Per circa una decina di anni è stata vista ed ascoltata al San Carlo di Napoli ed all’Arcinboldi, sede provvisoria della Scala, in produzioni importate da Londra. Alcuna anni prima, a Ravenna, aveva trionfato un allestimento della Helikon Opera di Mosca e quasi nello stesso periodo girò per l’Emilia-Romagna una produzione stilizzata, in costumi moderni e molto efficace, co-prodotta dall’Opera Nazionale del Galles, dal Teatro Comunale di Bologna e dal Teatro dell’Opera di Oslo. Un vero capolavoro che ha raggiunto anche l’Australia e la Nuova Zelanda. “La dama di picche” potrà essere ascoltata a Roma in versione di concerto (di gran lusso) all’Auditorium di Via della Conciliazione, portata dal Mariinskji di San Pietroburgo che negli anni caotici della caduta del comunismo si finanziava con tournée all’estero.
Dato che una versione scenica manca da tanti anni può essere utile una breve presentazione. L’opera, su un libretto di suo fratello Modest, è tratta da un racconto di Puskin a cui peraltro aveva già attinto Jacques Halévy,
Ricordiamo brevemente la vicenda: Hermann, ufficiale di bello aspetto ma con le tasche vuote e la passione per il gioco, è più interessato ai soldi che alle donne – condizione che per certi aspetti lo accomuna a Thcajkovskij (essere “gay” nella Russia degli zar ciò comportava la pena di morte) sposatosi per nascondere le proprie tendenze, sempre indebitato e, all’epoca delle composizione de “La dama di picche” probabilmente innamorato perdutamente di un nipote per il quale avrebbe lasciato il proprio valletto-compagno di vita abituale. Il giovanotto utilizza, però, la propria avvenenza per sedurre una fanciulla dell’aristocrazia, Liza, e portarla via al fidanzato all’unico scopo di potere avere le chiavi della casa dove la ragazza vive con le vecchia nonna. Quest’ultima è stata anche essa una grande giocatrice; ha la fama di essere titolare di una combinazione segreta per vincere al tavolo verde. L’anziana contessa, terrorizzata dal giovane, ha un infarto. Liza comprende di essere stata strumentalizzata e si getta nella Neva. Nella bisca, il fantasma della contessa appare ad Herman per dargli, però, la combinazione errata e portarlo al suicidio. La novella di Puskin – se vogliamo – è ancora più cruda con Hermann – particolare sconvolgente nel 1834, data di pubblicazione – che giunge a prostituirsi per le “tre carte”.
Ultimo lavoro per il teatro in musica del compositore russo più aperto all’Occidente – la partitura de “La dama di picche” venne composta, in gran misura, a Firenze – è una opera che, sotto il profilo tecnico, si situa chiaramente tra due secoli: a musiche ispirate a Bizet e a Massenet se ne alternano altre caratterizzate da una scrittura frammentata che anticipa l’espressionismo. Nella vita artistica di Thcajkovskij, “La dama di picche” giunge a 13 anni da un altro capolavoro del maestro russo tratto da Puskin, Eugenio Oneghin.
Mentre Oneghin è la riflessione amara di un 27enne sulle occasioni perdute, sulla felicità non colta anche se a portata di mano, “La dama di picche” è la tragica meditazione sui rapporti tra uomo e destino (qui riassunto nelle “tre carte” che in “tre atti” portano alla dissoluzione spietata dei “tre protagonisti”) in un mondo apparentemente all’apice della potenza politica ed intellettuale (la Russia di Caterina la Grande) ma già in progressivo disfacimento. Al languore melanconico, e sensuale, di Oneghin” si contrappone il “cupio dissolvi” di un individuo e di un’epoca. Tre anni più tardi, Thcajkovskij sarebbe morto in circostanze misteriose, sempre più avvalorata l’ipotesi secondo cui sarebbe stato costretto al suicidio a ragione delle sue tendenze sessuali. Meno di venti anni dopo crollava la Russia sui fronti militari e per il germe del comunismo.
“La dama di picche” fu composta in soli 44 giorni, nel corso di un soggiorno a Firenze: l’idea suggerita dal sovrintendente dei teatri imperiali Ivan Vsevoložskij di trarre un’opera dal racconto di Puskin aveva suscitato nel musicista un autentico furore creativo. Thcajkovskij intervenne consistentemente anche nella stesura del libretto, opera del fratello Modest, nel quale l’originale di Puskin è profondamente modificato.
L’opera, andata trionfalmente in scena al Mariinskij di San Pietroburgo nel 1890, riflette il mondo espressivo delle ultime sinfonie del maestro, al quale si aggiunge l’influsso del grand-opéra francese, come evidenzia lo spostamento della vicenda del racconto di Puskin all’epoca di Caterina la Grande e il conseguente sviluppo di spunti fastosamente spettacolari. La concezione per numeri musicali autonomi favorisce l’inclusione di numerosi quadri di genere, come il famoso coro di bambini – quasi una citazione da Carmen di Bizet – e la cantata del II atto, concepita nel gusto per il pastiche settecentesco proprio anche degli autori italiani a cavallo tra Ottocento e Novecento. Sul podio dell’Orchestra del Teatro dell’Opera di Roma il Maestro James Conlon. La regia porta la firma di Richard Jones, che debutta al Teatro dell’Opera di Roma, uno dei nomi più apprezzati nel teatro contemporaneo: si è aggiudicato numerosi riconoscimenti e premi in tutta Europa, tra cui otto Laurence Opera Awards – sei per le regie liriche e due per la prosa – ed un Opera Award. Il Guardian scrive di lui: “Con le sue produzioni senza compromessi di opere liriche ha ottenuto fama internazionale e le critiche dei tradizionalisti”. Richard Jones inserisce La dama di picche in un contesto di fine Ottocento, spostando l’azione un secolo avanti rispetto al libretto, creando un’atmosfera visionaria e suggestiva in cui John Macfarlane disegna abilmente scena e costumi, lavorando con soluzioni fresche, ma allo stesso tempo immergendo l’opera in un clima di inquietudine e suspense.
Nel cast Maksim Aksenov (German), Tómas Tómasson (Conte Tomskij e Montedoro), Vitalij Bilyy (Principe Eleckij), Vadim Zaplechny (Cekalinskij), Mikhail Korobeinikov (Surin), Vladimir Reutov (Caplickij e cerimoniere), Gabriele Ribis (Narumov), Elena Zaremba (Contessa), Oksana Dyka (Liza), Elena Maximova (Polina e Bellosguardo), Anna Viktorova (Governante), Magdalena Krysztoforska (Maša), Yuliya Poleshchuk (Prilepa). Maestro del Coro Roberto Gabbiani.
Parteciperà alla messa in scena il Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera di Roma diretta dal Maestro José Maria Sciutto. L’allestimento è nato dalla coproduzione tra Welsh National Opera, Den Norske Opera, Teatro Comunale di Bologna e Canadian Opera Company.