Skip to main content

Turchia al voto, cinquanta sfumature di autoritarismo

Erdogan

Più di 50 milioni di turchi sono chiamati alle urne per eleggere il nuovo Parlamento. Il Paese della Mezzaluna si ritrova davanti a un bivio cruciale. A seconda del risultato del voto la Turchia prenderà l’ultima uscita disponibile per la democrazia, oppure scivolerà in una dittatura conclamata, ben lontana (e molto più feroce) dalle cinquanta sfumature di autoritarismo a cui ci ha finora abituati il presidente-sultano Recep Tayyip Erdogan.

È l’ultimo ostacolo vero che separa il leader del partito islamico Akp dal suo sogno più grande: cancellare definitivamente l’icona di Kemal Ataturk e sostituirsi a lui come padre di una nuova patria, basata su principi islamici invece che laici e su una visione della società e della politica lontana anni luce dalla stella polare della democrazia. Che la partita sia cruciale per Erdogan lo si capisce dalle modalità con cui ha condotto la campagna elettorale. Minacce agli oppositori e a chiunque osi criticarlo nel mondo degli intellettuali e della società civile, arresti fuorilegge di giornalisti “scomodi” e un costante clima di terrore per scoraggiare qualsiasi protesta di piazza. Ma la Turchia non è solo quella di Erdogan e i suoi oppositori si fanno sentire, per strada e sui giornali, nonostante le epurazioni e il rischio dell’ergastolo.

Uno dei giornalisti più in vista in Turchia, Can Dundar, rischia l’ergastolo per aver pubblicato sul suo giornale Cumhuriyet (Repubblica) alcune foto scottanti scattate nel 2014, che provano senza ombra di dubbio la connivenza dei servizi segreti turchi con i terroristi dello Stato islamico. Nelle foto “incriminate” si vede il passaggio di un carico di armi alla frontiera tra Turchia e Siria. Armi che vanno a foraggiare la guerra di Daesh contro gli “infedeli” di Siria (e non solo).

Una testimonianza che prova quello che ormai da diversi mesi si vocifera più o meno sottobanco: la Turchia di Erdogan supporta finanziariamente e logisticamente i terroristi dell’Isis, e il presidente sultano tiene il piede in due staffe: da una parte partecipa alle riunioni della Nato contro la minaccia del Califfo, e dall’altra fa affari con il Califfato, comprando il petrolio nelle aree controllate dall’Isis nel Kurdistan iracheno e sostenendo la “causa” contro l’odiato rais di Damasco, Bashar al Assad.

Sono accuse gravissime quelle alla Turchia di Erdogan, che chiedono a gran voce una presa di posizione netta da parte dell’Alleanza atlantica. Presa di posizione che finora non è arrivata. Si aspettano le elezioni. Ma se Erdogan dovesse ottenere la maggioranza assoluta e riuscisse a modificare la Costituzione, allora sarebbe tardi per intervenire contro di lui e il prezzo lo pagherebbero i turchi democratici e laici, che nulla hanno a che vedere con il loro presidente.

Ma non è tutto già scritto, e questo Erdogan lo sa, tanto che nelle ultime battute della campagna elettorale ha reagito spesso come un leone ferito, che teme di essere presto ingabbiato. La chiave di volta per frenare la corsa autoritaria del presidente sultano sta tutta nel risultato che otterranno i curdi. I sondaggi dicono che potrebbero superare il 10%, impedendo di fatto a Erdogan di ottenere la maggioranza assoluta.

Il loro leader, Selahattin Demirtaş, è ottimista. 42 anni, curdo, avvocato per i diritti civili, si è impegnato in una campagna elettorale difficilissima, riempiendo le aule delle università, da Istanbul alle zone curde nella Turchia sud orientale. Demirtaş rappresenta una speranza per la Turchia laica e democratica, ed Erdogan lo sa bene. Ecco, forse, perché negli ultimi giorni prima del voto ha aumentato esponenzialmente il tasso di minacce nei confronti di chi non sta dalla sua parte.

Ma un manipolo di 400 intellettuali hanno messo faccia e nomi contro di lui, esponendosi pubblicamente per fermare la sua corsa. Tra questi c’è anche il Nobel per la letteratura Orhan Pamuk. Intanto, più di 79.000 volontari presidieranno i seggi in tutto il Paese per vigilare sulla correttezza delle operazioni di voto. L’allarme brogli è oltre la soglia di tolleranza. Ce la farà la Turchia democratica a mettere in gabbia il suo presidente-sultano? La speranza c’è, ma è certo che comunque vada il voto la comunità internazionale dovrà prendere delle decisioni in merito al suo “alleato” Erdogan. È difficile combattere il terrorismo assieme a chi quel terrorismo lo foraggia impunemente.


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter