Si è consumato il più grave strappo all’interno dell’Eurozona dalla creazione della moneta unica. L’Europa non sbloccherà per Atene l’ultima tranche di prestiti da oltre 7 miliardi. La Grecia non rimborserà 1,6 miliardi di euro dovuti al Fmi entro il 30 giugno. Il fallimento greco è ormai evidente e il governo ellenico dovrebbe riconoscere gli sbagli compiuti e le sceneggiate dei giovani governanti saliti al potere non raccontando la verità agli elettori e facendo promesse inattuabili stando la situazione già allora drammatica ed evidentemente irrecuperabile, se non attraverso una drastica politica di tagli alla spesa pubblica.
Tsipras ha annunciato per il 5 luglio un referendum per chiedere ai cittadini greci se accettare o meno il piano europeo, ritenuto da egli stesso umiliante per i greci. Angela Merkel ha giustamente precisato che il quesito è fuorviante, la vera questione è se rimanere nell’euro o tornare alla dracma. Nel frattempo i greci hanno ritirato i loro risparmi attraverso i bancomat, prelevando quanto più possibile, e il governo ha da oggi chiuso le banche. Non sappiamo se esista ancora, ad oggi, la possibilità che la Bce non cancelli la liquidità d’emergenza alle banche greche, mentre il Fmi potrebbe non dichiarare immediatamente il default di Atene, ma limitarsi a rimarcare il mancato pagamento, in attesa dell’esito del referendum.
Ma cosa chiedono i creditori alla Grecia? La riforma dell’oneroso e squilibrato sistema pensionistico greco, la ridefinizione delle aliquote iva e della tassazione. Non si tratta solo del mancato rimborso entro fine giugno di 1,6 miliardi, dato che solo nei mesi di luglio e agosto la Grecia dovrà rimborsare 6,6 miliardi di euro alla Banca centrale europea e altri 500 milioni al Fondo monetario. Complessivamente, entro fine anno, Atene dovrebbe trovare oltre 20 miliardi di euro.
Nel caso però di un “no” dei greci nel prossimo referendum del 5 luglio, Atene avrebbe la certezza di non ottenere altri prestiti dall’Eurozona, non potrebbe dunque più pagare gli arretrati al Fmi e risulterebbe insolvente. In questo caso, la Bce sarebbe costretta a non concedere più liquidità straordinaria alle banche e al Fmi non rimarrebbe che constatare il default.
Il presidente della Bce, Mario Draghi, ha onestamente ed autorevolmente affermato nei giorni scorsi che il default greco porterebbe l’Eurozona in “acque inesplorate”. I leader politici europei, incluso il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, cercano di gettare acqua sul fuoco, affermando che in realtà l’Eurozona ha fatto molti passi avanti negli ultimi anni – dagli stretti controlli ai bilanci nazionali, al Fondo salva stati, all’Unione bancaria fino alle operazioni straordinarie della Bce – e che i dati macroeconomici sono piuttosto confortanti, anche se non del tutto positivi.
Ma, noi che siamo in credito dalla Grecia di parecchi prestiti (peraltro mai resi noti chiaramente), con tutti i problemi che abbiamo in Italia, pensiamo davvero di far finta di crederci? Le borse di tutto il mondo hanno aperto in forte calo (Milano meno 4,5%) e il minimo che ci si possa aspettare per i prossimi giorni è una forte volatilità dei prezzi dei titoli dei Paesi periferici dell’Eurozona, a partire da quelli d’Italia e Spagna e un aumento degli spread. Anche a prescindere dalla Grecia, va comunque rimarcato che gli squilibri dell’Eurozona sono ancora ben lontani dall’essere stati eliminati. Anzi.
Dunque questa situazione deve imporre a Renzi e Padoan di dire la verità anche sulla situazione italiana dei conti pubblici e di riferire in Parlamento, cercando una posizione condivisa, senza ulteriori insopportabili arroganze. Anche perché nascondere la verità è un peccato mortale. Se la Grecia tornerà alle urne, anche l’Italia è sotto tiro e il giovane toscano e il suo governo anche.