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Vi spiego il dilemma della Fed di Yellen

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Il Pil di un Paese, semplificando, dipende dal numero delle persone che lavorano e dalla loro produttività. Se le persone che lavorano non possono più aumentare (se non come risultato del debole aumento demografico) e se la crescita della produttività è bassa o nulla, il Pil, al di là delle fluttuazioni da un trimestre all’altro, non può aumentare molto. Le stime di molti autorevoli economisti collocano la crescita potenziale di lungo periodo per gli Stati Uniti all’1.75 per cento, con rischi verso il basso. Un livello piuttosto triste, soprattutto se paragonato con quel 3 e oltre per cento che ci era stato promesso per quest’anno e per i prossimi da più parti, inclusa la Fed.

Con l’esaurimento delle risorse inutilizzate entro la fine di quest’anno, la Fed si trova di fronte a un grande dilemma che è anche il suo momento della verità. Applicare il manuale e alzare i tassi, colpendo una crescita già mediocre per evitare che l’inflazione salga oltre il 2 per cento, o forzare le cose e andare a cercare di proposito un’inflazione del 3 o del 4 per cento?

Janet Yellen continua in ogni occasione a recitare il mantra del 2 per cento come obiettivo di inflazione, ma in cuor suo lo pensa davvero? Ricordiamo che questa Fed ha una colorazione politica decisamente democratica e una preponderanza assoluta di colombe. Ricordiamo anche che esiste un’argomentazione forse discutibile ma non necessariamente politica o ideologica per rincorrere un’inflazione più alta. Avere i prezzi al 3-4 per cento significherebbe infatti, alla prossima recessione, non precipitare immediatamente in deflazione, come invece avverrebbe se i prezzi partissero dal 2 per cento. Potrebbe essere la differenza tra una recessione gestibile e una depressione ancora più grave di quella del 2008.

La Fed, molto probabilmente, farà una scelta intermedia. I componenti del suo direttivo sono persone prudenti e preferiscono evitare di essere accusate di tirare troppo la volata a Hillary Clinton comprando un po’ di occupazione in più in cambio di un’inflazione troppo alta. In pratica la Fed alzerà i tassi entro quest’anno e basterà un rialzo per tacitare molti dei suoi critici per qualche tempo. Più avanti li alzerà ancora, ma in linea con l’inflazione o meno dell’inflazione. I tassi reali a breve rimarranno in ogni caso a zero o negativi, mentre il manuale prescriverebbe, a questo punto del ciclo, tassi reali positivi.

Una scelta intermedia avrebbe anche il vantaggio di impedire la formazione di una grave bolla azionaria (che si avrebbe se i tassi restassero a zero o vicino a zero troppo a lungo) e di contenere in proporzioni gestibili il bear market obbligazionario (che diventerebbe invece pesante e rischioso, per l’America e per il mondo, se i tassi venissero alzati sui livelli prescritti dal manuale).
Prepariamoci allora a un modesto ulteriore ribasso dei corsi obbligazionari quest’anno e il prossimo, a un azionario americano piatto per il 2015 e a un azionario europeo che sarà in grado entro fine anno di rivedere i massimi di inizio aprile, ma non di andare molto più in là.
Il mondo, insomma è ok, ma non nel senso che diamo noi a Ok (bene) ma in quello che gli si dà in inglese (benino).

(testo estratto dalla newsletter Il Rosso & Il Nero)

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