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Troppe feste per l’accordo sul nucleare iraniano

L’importanza storica, culturale, strategica, economica e geopolitica dell’Iran è evidente: un Paese di quasi 80 milioni di abitanti, collocato nel cuore del Medio Oriente, culla di una grande e millenaria civiltà, costituisce per definizione un interlocutore naturale nel contesto della comunità internazionale.

La rivoluzione teocratica di Khomeini aveva impresso, nell’ormai lontano 1979, un cambio di rotta drammatico alla società e alla politica iraniana rispetto alla sua grande tradizione. Un percorso che aveva progressivamente precipitato la ex Persia, uno dei fondatori dell’Onu nel 1945, dentro il vortice del fondamentalismo islamico, portando al Paese danni incalcolabili per il progressivo isolamento rispetto all’intero contesto internazionale.
L’aperto conflitto con il mondo occidentale, in primis con gli Stati Uniti e Israele, e la rivalità tutta interna al mondo islamico, caratterizzata dall’aspra lotta tra sciiti e sunniti, avevano fatto di quella grande realtà un attore dapprima fastidioso, poi sempre più pericoloso. Le varie fasi di embargo e il conseguente crollo economico dell’Iran, il cui benessere veniva sacrificato sull’altare di un radicalismo islamico aprioristico e, in fondo, antistorico, ne avevano minato prestigio e affidabilità.

Non si può non partire da queste considerazioni, per quanto eccessivamente sintetiche e semplificatrici di una realtà assai più complessa, per giudicare l’accordo sul nucleare iraniano. La partita nucleare, infatti, era arrivata a costituire, in qualche modo, il punto di arrivo emblematico del percorso isolazionista dell’Iran radicale, che passava dalla difesa all’attacco. Un punto di arrivo che si rivelava comunque un vicolo cieco, sia per gli iraniani, sia per il mondo occidentale.

Il lungo e faticoso lavoro di mediazione ha avuto certamente il merito di imprimere una svolta positiva a una situazione di stallo ormai inaccettabile, anche se le numerose criticità ancora presenti impongono grande prudenza.

1) Un accordo è meglio di nessun accordo: per una volta condivido le parole di Obama, il cui ondivago approccio in politica internazionale ha visto, assieme a enormi demeriti, anche qualche buona intuizione. Nessun accordo avrebbe certamente significato una maggiore libertà di azione per l’Iran, con tutte le incognite del caso.

2) Un accordo in chiaroscuro, che presenta certamente lati positivi. In molti hanno da subito sottolineato gli aspetti economici, la riapertura di relazioni commerciali importanti, il ritorno sui mercati internazionali di un player fondamentale nel business del petrolio e così via. Ma, soprattutto, un passo che permette all’Iran di tornare ad essere un interlocutore a pieno titolo della comunità internazionale. Anche qui, meglio un interlocutore esplicito che quel minaccioso convitato di pietra sempre silenziosamente presente a tutti i tavoli delle infinite, ataviche e spesso contraddittorie questioni e conflitti che affliggono quella tormentata parte del pianeta. Quindi un chiarimento del quadro geopolitico di importanza fondamentale.

3) Un accordo, tuttavia, pieno di ombre:

– la minaccia per Israele, che non ha torto a sentirsi oggi maggiormente esposto in una situazione già di per sé assai critica e delicata per la sua stessa sopravvivenza;
– il rischio legato ad una vera guerra in atto per il predominio religioso, politico, economico e militare in atto da tempo tra i grandi attori del mondo islamico: Turchia, Arabia Saudita, lo stesso Iran e, anche se più defilato, l’Egitto. Un rafforzamento del posizionamento dell’Iran dentro questo quadro, unito ad una probabile ulteriore recrudescenza del conflitto tra sciiti e sunniti, potrebbe risultare pericolosamente destabilizzante rispetto ai precari equilibri odierni e indurre i rivali, in particolare l’acerrimo nemico saudita, ad usare qualsiasi mezzo per prevalere, non escludendo il finanziamento del terrorismo e dei conflitti religiosi;
– un quadro ulteriormente destabilizzato, del quale potrebbe facilmente approfittare il più grande tattico presente oggi sulla scena mondiale, Vladimir Putin, che vedrebbe molto di buon occhio un Medio Oriente sempre di più spina nel fianco dell’Europa e del nemico statunitense;
– il serio dubbio sulla reale efficacia dei controlli sul rispetto dell’accordo che si potranno realmente realizzare.

4) Rischi e dubbi sembrano prevalere oggi su opportunità e certezze. Solo l’Iran potrà dimostrare ora la propria reale intenzione di tornare ad integrarsi a pieno titolo dentro la comunità internazionale. Almeno su quattro fronti: lotta al terrorismo dell’ISIS, contributo alla soluzione dei conflitti in Siria e Iraq, impegno a stemperare e a non radicalizzare il conflitto sciiti/sunniti, reali garanzie di equilibrio verso Israele.

5) In questo quadro complesso e contraddittorio, spicca l’azione brillante e determinante dell’Unione Europea e dell’ottima Federica Mogherini, che superficiali osservatori di casa nostra vedevano “commissariata” dalla Ashton e che ha invece gestito con grande e riconosciuta autorevolezza una difficile mediazione. Ciò significa che l’Europa, quando vuole, sa essere autorevole e che il nostro Paese può sempre dare un contributo determinante, dimostrando che non è stata affatto sbagliata la scelta di Renzi, anche qui criticata da molti italici sapienti, di chiedere per il nostro Paese la posizione delicata e rischiosa di Alto Rappresentante. Se lo stesso sforzo di mediazione politica si fosse fatto nel caso della Grecia, anteponendolo a considerazioni puramente economicistiche, oggi l’Europa sarebbe più forte e non dovrebbe leccarsi le ferite di una guerra intestina che ha lasciato sul campo morti e feriti.

6) L’Italia sappia approfittare della circostanza creatasi con l’accordo sul nucleare iraniano per giocare la propria partita nel rilancio delle relazioni commerciali, potendo contare sulla solidissima tradizione di relazioni e scambi. Ma tenga gli occhi assolutamente aperti, sapendo che gli iraniani sono negoziatori straordinari e non fanno sconti a nessuno; e anche ricordando l’amicizia per Israele

7) Infine resta da capire come Obama gestirà l’accordo nei fragilissimi equilibri con un Congresso e un Senato dove alla maggioranza repubblicana, notoriamente anti iraniana, si aggiunge una fetta non irrilevante di democratici perplessi e dubbiosi. Tutti, ovviamente, tenuti sul chi vive dalla influente comunità ebraica che teme di essere stata scaricata dagli storici alleati, sacrificata da un Obama che, dopo l’operazione Cuba, vuole chiudere in recupero i primi otto disastrosi anni di non-politica internazionale della storia degli Usa.

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