Gli Stati Uniti osservano le manovre dei politici greci e le misure dell’Europa per salvare il Paese dal crack e dall’uscita dalla moneta unica e ripercorrono con la memoria un periodo altrettanto drammatico della propria storia recente, la crisi finanziaria del 2008 scatenata dagli ormai famigerati prestiti subprime. Anche gli Stati Uniti si trovarono a mettere in atto un piano di salvataggio (bailout) come l’Unione europea fa oggi per la Grecia (e ha già fatto per altri Paesi, da Irlanda a Cipro) – anzi, per gli Usa si trattò del più cospicuo piano di incentivi e aiuti per la propria economia. Ma è possibile paragonare il bailout americano con quelli europei? Lo ha fatto – numeri alla mano – il New York Times.
BAILOUT A CONFRONTO
Il piano di salvataggio americano del 2008 (rivolto innanzitutto agli istituti finanziari ma non solo) è il Tarp (Troubled asset relief program) e le sue dimensioni sono decisamente maggiori del piano di salvataggio varato per la Grecia (che ha ricevuto aiuti in risposta alla crisi economica già a partire dal 2010). Il Tarp ha erogato in tutto 475 miliardi di dollari, mentre alla Grecia sono stati dati negli scorsi cinque anni 267 miliardi e 86 miliardi sono in arrivo.
Insomma, il bailout americano è una volta e mezzo quello greco, ma certo l’economia americana è incredibilmente più grande di quella greca. Come nota il New York Times, il Tarp rappresenta solo una piccola frazione dell’intera economia americana (che nel 2008 valeva 14.700 miliardi di dollari in Pil), mentre il piano di salvataggio della Grecia vale più dell’output economico del Paese del 2010 (e il cui Pil vale oggi circa 240 miliardi di dollari).
Il NYTimes ricava le cifre dalle banche dati del Tesoro Usa, dello European Financial Stability Facility e di Eurostat, ma gli Usa hanno creato un sito ad hoc con tutti i numeri del bailout, poi ripresi da varie testate (per esempio Cnn Money).
RETROSCENA POLITICI
Il piano di salvataggio americano è stato anche “politicamente” più facile. In Europa, come sappiamo, la Grecia ha cercato di trattare con i suoi partner finché il primo ministro Alexis Tsipras ha pensato di indire un referendum chiedendo “al popolo” se intendeva accettare o no il piano di riforme proposto dall’Ue; si sono poi riaperti i negoziati tra i grandi dell’Europa, compresi Fmi e Bce, e si è arrivati a un’intesa con la Grecia. Negli Usa il processo è stato molto più spedito, visto che il governo coinvolto era uno solo: in risposta alla crisi subprime e al rischio fallimento delle banche è stata approvata un legge ad hoc (Emergency Economic Stabilization Act of 2008) che ha autorizzato a spendere fino a 700 miliardi di dollari per salvare gli istituti finanziari e altri settori in crisi. I fondi Usa sono arrivati dal dipartimento del Tesoro; in Europa i fondi arrivano dallo European Financial Stability Facility, che include prestiti dal Fondo monetario internazionale.
RISULTATI DEI BAILOUT
Il presidente americano Barack Obama ha seguito da vicino la vicenda greca, invitando l’Europa a trovare un accordo che salvasse la Grecia dalla bancarotta. Riforme interne e finanziamenti dall’Ue sono considerati necessari dalla Casa Bianca per riportare la Grecia alla crescita economica e alla sostenibilità del debito, a vantaggio di tutta l’eurozona e dell’economia mondiale – perché un crack della Grecia avrebbe conseguenze imprevedibili.
La questione diventa ora urgente, perché dopo cinque anni di aiuti la Grecia non ha fatto passi in avanti per ristrutturare il suo debito e rendere la sua economia più efficiente, nota il New York Times. Infatti, l’economia greca ha continuato a contrarsi – per questo Atene non è riuscita a onorare i suoi debiti, mentre gli Usa hanno cominciato a riprendersi già dal 2009, a un anno dall’avvio degli aiuti del Tarp, e l’anno scorso l’economia americana è cresciuta a 17.400 miliardi di dollari.
TUTTI I BAILOUT DELL’UE
Il bailout greco non è il primo per l’Europa, ma è sicuramente il maggiore: 267 miliardi più 86 in arrivo superano di gran lunga i 109 miliardi del piano salva-Spagna, i 93 miliardi per l’Irlanda, gli 85 miliardi per il Portogallo e gli 11 miliardi per Cipro (anche se in alcuni casi non è stata usata la cifra intera, per esempio la Spagna ha usato solo 41,3 miliardi). In totale, comunque, sono 651 miliardi.
I singoli salvataggi europei – tranne quello greco – sono più piccoli di quanto gli Usa hanno dovuto spendere complessivamente per salvare le loro banche, 251 miliardi di dollari; il Tarp ha infatti erogato per Citigroup 45 miliardi, per Bank of America 50 miliardi, per Wells Fargo 25 miliardi, per JP Morgan Chase altri 25, per Morgan Stanley e Goldman Sachs 10 miliardi ciascuna e per le altre banche altri 86 miliardi di dollari.
Gli Usa hanno speso, tra gli altri settori, anche per le aziende dell’automotive (General Motors 51 miliardi, Ally Finl, ex Gmac, 17 miliardi, Chrysler 13) e per il colosso della assicurazioni AIG (68 miliardi).
BAILOUT O RIFORME?
Nel 2012, quando il piano di salvataggio americano era già attivo da quattro anni e anche gli aiuti Ue ai Paesi in difficoltà (Grecia compresa) erano già iniziati, l’economista polacco Leszek Balcerowicz, ex governatore della Banca centrale polacca, vice primo ministro e ministro delle Finanze nel primo governo polacco post-comunista, scriveva che i piani di salvataggio possono essere “male interpretati” – ovvero, possono servire a salvare le economie dal collasso e aiutarle a ritrovare la strada della crescita, ma non devono essere intesi come un sostituto alle necessarie riforme. Balcerowicz si concentrava sui piani di acquisto di titoli di Stato su scala massiccia da parte della Banca centrale europea e sottolineava che solo “riforme appropriate possono generare fiducia e crescita. I prestiti ufficiali di fronte a una crisi possono far guadagnare tempo per prepararsi alle riforme e possono aiutare a fermare la crisi del settore bancario, ma non possono essere un sostituto delle riforme stesse. La chiave per risolvere la crisi dell’eurozona si trova in riforme adeguatamente strutturate nei Paesi in difficoltà. Da questo non si scappa: non c’è modo di sostituirle”.
Il cancelliere tedesco Angela Merkel lo ha ribadito quest’anno di fronte a Mario Draghi: l’alleggerimento quantitativo non sostituisce le riforme economiche. Oggi alla Grecia viene ripetuto lo stesso messaggio: gli aiuti arriveranno, ma solo a fronte di vaste riforme, che il Parlamento ha in parte già approvato (sia il primo che il secondo pacchetto): riforma delle pensioni, aumento dell’Iva, piena indipendenza dell’ufficio nazionale di statistica, modifiche al codice di procedura civile, adozione della direttiva Ue sul risanamento e sulla risoluzione delle crisi degli enti creditizi. All’appello mancano la revisione delle baby-pensioni e le modifiche alla tassazione agevolata degli agricoltori che verranno approvati in un secondo momento a causa dell’opposizione di alcuni deputati di Nea Dimokratia. Senza queste “azioni prioritarie” niente bailout da 86 miliardi dai creditori.