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Ubi, Bpm e Mps. Tutte le banche soddisfatte per il decreto sulle sofferenze. Report Barclays

Ubi e Bpm avranno rialzi del 32 e del 17% rispettivamente grazie a forti posizioni di capitale e una potenziale spinta agli utili che arriverà dalla legge sulla bancarotta. Lo afferma Barclays che in un report a firma di Marta Bastoni, analista banche europee, spiega perché il mutando quadro normativo sia favorevole per le piccole popolari.

DAVIDE BATTE GOLIA
“Sebbene le banche italiane più piccole abbiano sovraperformato il settore bancario europeo del 17% finora in Borsa da inizio anno – scrive Bastoni – crediamo che l’imminente riscrittura della legge sulla bancarotta in Italia possa essere un driver per un ulteriore rerating. I cambiamenti sono attesi nei prossimi mesi e dovrebbero ridurre i tempi necessari a finalizzare la vendita dei collaterali. Questo si tradurrà in minori riserve di capitale, spingendo i requisiti di patrimonializzazione e riducendo il costo del rischio. La nostra analisi mostra che le banche più piccole sono le maggiori beneficiarie di questo cambiamento e per questo confermiamo il giudizio overweight su Ubi, promuoviamo Bpm a overweight e Mps a equalweight. Unicredit sembra ancora ai limiti dal punto di vista del capitale e per questo abbassiamo il giudizio a equalweight, mentre Intesa è molto ben patrimonializzata ma anche equamente valutata e pre questo confermiamo il nostro equalweight”.

IL VALORE DEI COLLATERALI
Il valore del collaterale è in genere molto più alto di quello del prestito nominale sottostante. In Italia, secondo i calcoli di Barclays, il rapporto è del 49%, contro una media europea del 60%, ovvero il collaterale vale circa il doppio del prestito sottostante. Durante una vendita il prezzo del collaterale è usualmente molto più basso del suo valore di mercato, però è molto importante tenere i rapporti tra valore del prestito e valore del collaterale i più bassi possibile. Le valutazioni dei collaterali sono state messe a serio rischio dagli Aqr e tutte le banche italiane le hanno dovute rivedere significativamente. Ma nella procedura di cessione è il fattore tempo che appare determinante.

COSA CAMBIA LA LEGGE SULLA BANCAROTTA
In questo momento le banche italiane impiegano fino a 7,5 anni per finalizzare la vendita dei collaterali con sottostante i non performing loan, con una media per la realizzazione dell’intero processo di 5,5 anni. “Crediamo – prosegue Bastoni – che la nuova normativa sulla bancarotta possa ridurre questo tempo di 1,5 anni (la metà di quanto assume il ministero della Giustizia), il che si traduce il 94 punti base di Cet1 per Banco Popolare e Mps, 50 punti base per Ubi e 30-40 punti per le altre banche. E significa anche la riduzione di 9 punti base nel costo del rischio annuale per Banco Popolare e Mps che potranno vedere le proprie stime 2016 incrementate del 16-14%, a parità di tutte le altre condizioni, mentre Unicredit è la banca che subisce il minor impatto”.

PICCOLO è BELLO ANCHE IN UNO SCENARIO PRUDENZIALE
Così come i potenziali benefici che la legge sulla bancarotta può apportare, Barclays include nell’analisi anche uno scenario prudenziale in cui si analizza la situazione patrimoniale delle banche con la sottrazione della riserva di patrimonio netto (la cosiddetta riserva Afs). Un elemento che le banche italiane hanno incluso nei requisiti di patrimonio e che in passato è sempre migliorato grazie alla rivalutazione, mentre il “recente movimento nei rendimenti suggerisce un potenziale declino nella seconda metà del 2015”. Così Barclays simula una situazione in cui queste riserve vengono escluse dal patrimoni al 2017, “perché consideriamo le riserve Afs una parte di patrimonio di bassa qualità e comunque troppo volatile per poterci fare affidamento”. Dalla simulazione, “Intesa esce particolarmente bene – continua Bastoni – con un Cet1 adjusted del 13,2%, sebbene riteniamo che tale livello sia già scontato nei multipli, con un prezzo sul book value pari a 1,3 volte. Anche Ubi e Bpm appaiono molto forti con il Cet1 a 11,8 e a 11,6% rispettivamente e poco sotto si piazzano Mps a 11,3% e Banco Popolare a 11,2%. Unicredit continua a essere la peggiore a 10,4%”.

RISCHIO CREDITI D’IMPOSTA
C’è anche un altro rischio, ovvero quello legato alla peculiarità italiana di poter trasformare le imposte anticipate in credito d’imposta in presenza di perdita e questo valore non viene dedotto dal Cet1. Il dibattito sulla possibile rimozione di questo vantaggio è aperto ma per Barclays è improbabile che si cambino le regole. In ogni caso, anche assumendo che ciò avvenga, “e aggiustando i numeri a queste eventualità – prosegue Bastoni – Bpm, Intesa e Ubi continuano a essere in salute mentre le altre banche sono più a rischio”. E, sorpresa finale, la banca meno appetibile tra tutte è la grande Unicredit, penalizzata da Barclays a causa del suo patrimonio ai limiti e anche per “la mancanza di un catalizzatore di breve termine che traini una sovraperformance, con la Russia che non è più fonte di reddito e il vento contrario della volatilità”.

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