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Bravo Padoan, però…

Pier Carlo Padoan nell’intervista al Foglio ha rotto alcuni tabù. Basta con il tassare di più per spendere di più, “una tradizione un po’ passata della sinistra, un po’ inaridita”. Basta con l’idea che ridurre le tasse sia fare un favore ai ricchi. Finalmente. PCP dice con chiarezza che occorre “una rivoluzione fiscale pianificata su più anni”. Su Formiche.net abbiamo scritto che il vero salto di qualità della politica di bilancio sarebbe ridurre la pressione fiscale, con un calendario triennale, prudente, ma preciso in modo da mutare le aspettative negative che bloccano famiglie e imprese. Dunque, per questi motivi e altri ancora non possiamo che apprezzare l’intervista del ministro dell’Economia. Quel che ancora non ci convince è la scaletta delle priorità e la copertura finanziaria dell’operazione.

Perché partire dalla prima casa e non dal lavoro? Risposta: ci sono stati gli 80 euro. Però Matteo Renzi aveva promesso di estenderli anche a chi non ne aveva usufruito, a cominciare dalle partite Iva che pagano le tasse. Non era più coerente dare priorità al rispetto di questo impegno, invece di cambiare ancora una volta le carte in tavola? Anche questo continuo salto della quaglia genera incertezza e incide sulle aspettative.

E’ vero che l’imposta sulla prima casa ha avuto un effetto catastrofico sul piano psicologico e sull’edilizia. Tuttavia era meglio spostare questo intervento al 2017 e approfondire il taglio alle imposte sui redditi.

Quanto alle coperture, da quel che dice il ministro è chiaro che il governo punta soprattutto sulla flessibilità  delle regole europee. ”L’impegno a ridurre il debito dobbiamo rispettarlo – dice PCP – ma se quest’anno il rapporto deficit/pil sarà del 2,6% e l’anno prossimo in teoria dovrebbe raggiungere l’1,8 per cento, fermarsi nel mezzo garantirebbe più respiro al taglio delle tasse”. La via di mezzo è quota 2,2; dunque questo sarebbe l’obiettivo da negoziare con Bruxelles per il 2016. Non sembra un grande spazio di manovra.

Il governo italiano offre in cambio le riforme. Quali? La più importante per l’impatto immediato sull’economia è quella del lavoro ed è stata fatta. Pubblica amministrazione e giustizia, senza dubbio prioritarie, avranno conseguenze solo a medio termine. Padoan è convinto che basterà. E’ l’ottimismo della volontà? Sarebbe molto più forte la sua posizione negoziale se si presentasse con una netta riduzione della spesa pubblica corrente. Ancor meglio se con risparmi certi e immediati, non rimandati alla eterna e inconcludente revisione della spesa.

Non è un caso che nell’intera conversazione con Marco Valerio Lo Prete la spending review non s’affacci nemmeno dalla finestra. Il ministro sa bene che è stata licenziata insieme a Carlo Cottarelli. Certo ci saranno un po’ di ritagli e frattaglie, ma tagli veri e consistenti non si vedono.

Il governo non vuole scontentare gli enti locali, già sul piede di guerra perché viene loro tolta l’imposta sulla prima casa. Non vuole toccare gli statali ai quali, anzi, secondo il diktat della Consulta, deve dare gli aumenti di stipendio in cambio di nulla perché i magistrati, paladini dei diritti acquisiti, si sono guardati bene dal considerare la produttività dell’impiego pubblico un dovere nei confronti dei cittadini. E non vuole toccare tutte le camarille locali che come topi nel formaggio rosicchiano quella parte consistente della spesa per beni e servizi, un vero e proprio cuscinetto clientelare e assistenziale.

Non stiamo parlando, quindi di “macelleria sociale”, il thatcherismo non c’entra nulla. I sistemi socialdemocratici del Nord Europa hanno ridotto le spese senza smantellare lo Stato sociale. Dunque si può fare, non ci sono barriere etniche, soltanto interessi politici da salvaguardare.

PCP è convinto che l’Italia in Europa venga considerata un esempio. Speriamo abbia ragione lui. Ma ci sembra molto più probabile che lo psicodramma greco abbia affilato i canini di tutti i governi che hanno dovuto ingoiare il terzo salvataggio, ma non intendono mettere di nuovo sotto stress i propri contribuenti. Il debito dell’Italia allarma non solo perché è così alto (oltre quota 133), ma perché continua crescere. E per fermare la sua progressione non basta l’impegno verbale, perché sia credibile deve essere accompagnato da gesti concreti e cifre reali.

Naturalmente rivolgiamo i migliori auguri ai negoziatori italiani, ma non vorremmo essere nei loro panni davanti non tanto a Wolfgang Schäuble che è un uomo intelligente e un politico di lungo corso, quanto ai suoi paggetti fatti di ben altra pasta.

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