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Che cosa significa per l’Italia l’intesa Usa-Iran sul nucleare

Mentre gli occhi del mondo e dell’Europa sono stati puntati per giorni sull’affaire Grecia, una partita ben più importante si è giocata a Vienna dove dopo diversi tentativi si è chiuso un accordo con l’Iran che, con la fine delle sanzioni, diventerà la nuova mecca per le imprese italiane e, non solo, per quelle che operano nel settore petrolifero.

Anche se il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, nel commentare l’accordo ha posto più l’accento sulle “nuove positive opportunità per il popolo iraniano e per la regione, delineando un percorso di normalizzazione dei rapporti con la Comunità internazionale” è vero che per il nostro Paese, tradizionalmente molto apprezzato nel Medio Oriente, si aprono delle opportunità immense che uno studio della Sace quantifica già in una ripresa delle esportazioni per oltre 3 miliardi di euro nei prossimi 4 anni, salendo dagli 1,1 del 2014 ai possibili 2,5 del 2018.

Sace sottolinea infatti che, nonostante l’inasprimento delle sanzioni avvenuto alla fine del 2011 quando esportavamo oltre 7 miliardi l’anno abbia ridotto sensibilmente gli scambi tra il nostro paese e l’Iran, l’Italia rimane tra i principali partner commerciali del Paese. Certo non sarà semplice riguadagnare le quote di mercato perse in Iran, considerando che concorrenti quali Cina, India, Russia e Brasile hanno subito molti meno vincoli negli ultimi anni guadagnandosi una posizione di leadership all’interno del Paese. Ma è altrettanto vero che si aprono delle praterie per comparti in cui il Made in Italy è molto apprezzato dall’Oil&gas, all’automotive, dalla difesa ai trasporti, e più in generale ai settori legati alle costruzioni. Anche se il comparto maggiore è rappresentato oggi dalla meccanica strumentale, che assorbe oltre il 50% delle esportazioni ed è anche la prima voce del nostro export nel mondo.

Non è un caso quindi che la diplomazia italiana sull’Iran si sia mossa per tempo e sottotraccia. Se Gentiloni ha visitato Teheran appena lo scorso febbraio, già Emma Bonino come ministro degli Esteri del Governo di Enrico Letta aveva riallacciato il dialogo nel dicembre del 2013.

L’accordo con l’Iran, insieme ai grandi trattati commerciali in gestazione – la Trans Pacific Partnership (Tpp) e la Trans Atlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), rappresentano il banco di prova per un rilancio del commercio mondiale a cui lavora intensamente il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e su cui l’Europa dovrebbe dimostrare più coraggio.

In questo scenario il governo italiano si muove con convinzione perché sono le esportazioni, come più volte sottolineato dal professor Marco Fortis, vice presidente della Fondazione Edison, il polmone che ha tenuto in vita la nostra economia negli anni più duri della crisi, dove siamo stati spesso secondi dietro solamente alla Germania.

Adesso con l’accordo sul nucleare un paese come l’Iran, di 80 milioni di abitanti, che ha le seconde riserve petrolifere più importanti al mondo, ha bisogno di ammodernarsi e di risorgere dalle ceneri dopo l’ isolamento impostato dal regime degli ayatollah. E in questo scenario il Made in Italy potrà dire la sua: pochi ricordano che qualche decennio fa, prima del referendum che ne bandisse l’uso nel 1987, era proprio il nostro paese ad essere il partner privilegiato di Teheran proprio sullo sviluppo del nucleare civile.

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