Skip to main content

Della Grecia, dell’accordo e della storia

Se ogni tanto la storia si rivela davvero maestra di vita, la vicenda greca di questi giorni rappresenta uno di quei pochi casi. Non è affatto la prima volta che la Germania catalizza su di sé i commenti di tutto il vecchio continente e non è nemmeno la prima volta che usa la sua potenza per plasmare l’Europa secondo i suoi bisogni. Il vecchio Sistema Monetario Europeo (SME), pur se non esattamente solido dal punto di vista politico ed economico, è crollato di fatto il giorno in cui la Bundesbank ha deciso perseguire una politica monetaria coerente con le necessità della riunificazione tra RFT e RDT senza troppi riguardi nei confronti del serpentone di cambi fissi. I più avveduti si ricorderanno anche degli attacchi speculativi subiti dall’Italia nello stesso periodo e forse si domanderanno se non sia esistito un qualche legame causale tra i due fattori, ma è pur vero che il nostro Paese non godeva esattamente di una struttura economica tale da non cedere il fianco agli scetticismi dei mercati finanziari (ammesso che siano loro a dover decretare sulla politica economica degli Stati). Ieri si trattava della necessità politica di ricacciare via il prima possibile i fantasmi sovietici, oggi di quella di punire chi non rispetta i rapporti di forza dell’Unione. Sta di fatto che la Germania non ha fatto nulla di particolarmente nuovo.

Questo vuol dire che era prevedibile? No. Questo vuol dire che tale comportamento è meno grave all’interno di un’Unione nata per scongiurare nuove guerre intestine? Doppiamente no. Lo sa bene il governo Tsipras che, forse sopravvalutando l’onestà dei suoi interlocutori di Bruxelles, non ha mai elaborato un’exit strategy da usare come arma di ultima istanza contro Frau Merkel e Herr Schauble.  È vero che la Grecia non ha la forza industriale e militare per dichiarare da sola guerra all’Europa, per uscire dall’Unione e per sopravvivere a qualcosa di molto probabilmente simile all’embargo, ma è altrettanto vero che questo non è stato un duello tra Atene e Berlino. La questione ha avuto, e ha tutt’ora, una portata paneuropea e il silenzio di tutti i leader del Sud Europa, compreso quello dei compagni di Podemos rotto solo la scorsa settimana, fornisce un’evidenza abbastanza netta della soggezione politica che si è instaurata nell’UE. Davanti a questa constatazione nemmeno i colti richiami all’Antigone di Sofocle proposti da Tsipras all’indomani del referendum riescono a far sembrare meno fallimentare l’esperienza di governo di Syriza da gennaio ad oggi. Oltretutto sembra molto probabile che l’approvazione del nuovo piano di salvataggio della Grecia condurrà ad un rimpasto di governo se non addirittura, come peraltro molti si sentono di suggerire, anche le dimissioni di Tsipras e la fine dei sogni di progressismo.

Un altro grande elemento di preoccupazione destato dalla vicenda è che ora si rischia l’effetto contagio anche nel resto del Mediterraneo. I ribelli greci sono stati sedati e più di qualcuno è già tornato a porre l’accento sui problemi italiani che, con buona pace dell’impreparato Renzi, non sono affatto risolti. Come ha recentemente scritto l’ormai ex ministro Varoufakis, le richieste dell’Eurogruppo non trovano infatti alcun fondamento nella teoria economica e sono solo un’arma di umiliazione politica nei confronti della Grecia – e, aggiungo, anche degli alleati francesi che chiedevano una soluzione più mite –  e una totale annichilazione delle prospettive di solidarietà europea di cui tanto si è parlato.

Speriamo che Varoufakis non avesse in mente le capacità pedagogiche della storia quando ha paragonato la ratio del Trattato di Versailles del 1919 al testo di riforme partorito dall’Eurogruppo. In tal caso la faccenda sarebbe ancora più sgradevole di quanto non lo sia ora.

Piccola nota folkloristica. Lo scorso febbraio il Sole 24 Ore ha denunciato che le due tranche di aiuti erogate in precedenza alla Grecia si sono rivelate poco più che partite di giro nei confronti delle banche tedesche. Oggi lavoce.info, pur recriminando per la poca trasparenza della Troika, stima che degli 82 – 86 miliardi di Euro previsti complessivamente con il nuovo salvataggio solo 35 miliardi circa saranno destinati a nuovi investimenti produttivi. Oltretutto questa cifra verrà spalmata in cinque anni e verrà erogata solo a seguito dell’effettivo soddisfacimento degli stessi creditori di cui parlava il Sole 24 Ore. “Questa calma stride un po’ con i tre giorni dati al Parlamento greco per approvare un impegnativo programma di riforme”, scrive Baglioni che non è di certo noto per essere un pericoloso anarchico.

Un nuovo prestito per pagare vecchi prestiti. Come nelle pratiche della più bassa estorsione finanziaria. Il governo di Syriza avrà commesso i suoi errori, nulla quaestio, ma almeno era in buona fede.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter