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Ecco cosa propone davvero il Fmi per i debiti della Grecia

Leggendo cronache ed analisi della stampa italiana, pare che, parafrasando un ‘classico’ di Sergio Leone, i ruoli si siano un po’ trasformati: il Cattivo non è più il Fondo monetario (che rivoleva i propri soldi ed adesso invece, da Buono, perora una riduzione del debito greco), ma lo sono diventati gli Stati nordici, la Spagna ed il Portogallo che hanno presentato proposte più pesanti di quella stessa Germania (per anni mostrata come una strega senza cuore). Anzi essi adesso rappresentato Il Brutto. Il Bello è rimasta la Banca centrale europea (Bce) che ha deciso di prorogare il programma di assistenza alle banche greche nonostante la confusione ancora imperante ad Atene sul futuro del Governo e delle politiche del Paese.

Prima di formulare giudizi (i nostri lettori sono perfettamente in grado di farlo da soli), occorre ricordare alcuni fatti e spiegare sia perché ci si arrivati sia quali sono i contenuti effettivi del documento Fmi in cui si propone la ristrutturazione del debito greco.

Oggi il debito greco ammonta a 317,6 miliardi di euro. Di questo totale, 141,9 e 59,2 sono crediti del meccanismo europeo di stabilità e di alcuni Stati europei: sommando le due voci (circa 200 miliardi, dato che sono gli Stati europei a finanziare il meccanismo di stabilità) , i maggiori creditori sono, nell’ordine, Germania, Francia, Italia, Spagna e Regno Unito. Su queste due voci, si può pensare a un aiuto alla Grecia tramite “un periodo di grazia”. Non si può farlo per i crediti del Fondo monetario (21,1 miliardi) e della Bce (27) poiché espressamente vietato dagli statuti delle due istituzioni, ratificati da tutti gli Stati membri come trattati internazionali. E’ difficile pensarlo che si possa farlo con i 51,4 miliari sul mercato e ancor meno con i 22,7 miliardi in mano principalmente a fondi comuni e hedge funds. Giurisprudenza recente (nel caso della ristrutturazione dell’Argentina) dimostra che, ove la Grecia lo facesse unilateralmente, si aprirebbe un contenzioso che potrebbe portare non ad un default ma ad una dichiarazione di fallimento dello Stato e pignoramento di attività quali il porto del Pireo.

Si è arrivati a questa composizione a ragione della ristrutturazione del 201 , quando le banche creditrici hanno accettato (o meglio invogliato) un taglio del 50%  (100-110 milioni di euro ossia 10 euro a testa per ciascun greco) in cambio dell’intervento di creditori istituzionali (Fondo monetario, Bce, Meccanismo europeo di stabilità, singoli Stati) ed interessi più bassi nonché allungamento delle scadenze.

Si è spiegato che debiti nei confronti di Fondo monetario, Bce e Meccanismo europeo di stabilità sono sacri; non possono essere ‘ritoccati’ senza mandare all’aria l’architettura finanziaria internazionale, la proposta del Fondo riguarda una parte dei crediti di cui sono titolari i privati, essenzialmente agli azionisti (in misura grandi oligopolisti in vari comparti dell’economia greca) a cui si chiede un bail in, termine tecnico che in sostanza vuole dire che siano loro i primi a pagare per la situazione dei loro istituti. Come previsto d’altronde, dalle regole della Unione Bancaria Europea.

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