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Tutti i progetti petroliferi dell’Iran dopo l’intesa con gli Usa

Iran

L’estate 2015 verrà forse ricordata anche per l’accordo storico tra gli Usa – con le principali potenze mondiali – e l’Iran sul nucleare, non da ultimo perché le ricadute dell’intesa sono complesse e di lunga durata.

Tanto per cominciare, l’ex Persia si prepara a tornare sul mercato internazionale dell’energia: la scorsa settimana ha delineato i sui progetti per la ricostruzione delle principali industrie del Paese e delle sue relazioni commerciali, inclusi quasi 50 progetti nel settore oil & gas che valgono 185 miliardi di dollari e per i quali l’Iran spera di firmare contratti entro il 2020.

L’IRAN VUOLE ESPORTARE

Il ministro dell’Industria, Miniere e Commercio Mohammad Reza Nematzadeh ha dichiarato che la Repubblica Islamica si concentrerà sul rilancio delle industrie del petrolio e gas, dei metalli e delle automobili con l’intenzione anche di esportare verso l’Europa dopo che le sanzioni saranno rimosse: non si limiterà a importare tecnologie dall’Occidente. “L’obiettivo è di instaurare scambi commerciali a due direzioni ma anche di cooperare nello sviluppo, nella progettazione e nell’ingegneria”, ha detto Nematzadeh. “Non siamo più interessati a un’importazione unidirezionale di beni e macchinari dall’Europa”.

L’Iran vuole anche parzialmente privatizzare diversi settori industriali, creando joint ventures nell’automotive, con l’obiettivo di produrre 3 milioni di veicoli entro il 2025, di cui verrebbe esportato un terzo. L’Iran aspira anche a entrare nell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) una volta che saranno rimossi gli ostacoli politici ed è interessato ad accordi commerciali con l’Europa e i Paesi dell’Asia centrale.

IL PETROLIO IRANIANO

Sul petrolio, l’obiettivo dell’Iran è raddoppiare le esportazioni di greggio; il Paese sta già pressando gli altri membri dell’Opec perché sia rinnovato il sistema delle quote (secondo alcuni, ciò potrebbe creare conflitti con l’Arabia Saudita, che vuole incrementare il suo export oltre i limiti delle quote, anche se il segretario americano alla Difesa Ash Carter ha assicurato che i leader sauditi hanno garantito appoggio all’accordo con l’Iran). Il vice ministro del Petrolio per la pianificazione e supervisione iraniano Mansour Moazami ha dichiarato che le esportazioni iraniane di petrolio raggiungeranno 2,3 milioni di barili al giorno, contro 1,2 milioni attuali. L’Iran possiede le più vaste riserve mondiali di gas ed è al quarto posto nel mondo per riserve petrolifere.

In preparazione dei negoziati con eventuali partner esteri, il vice-ministro del Commercio e affari internazionali, Hossein Zamaninia, ha spiegato che l’Iran ha messo a punto un nuovo tipo di contratto, l’integrated petroleum contract (IPC), che “risolve alcune delle problematiche dei vecchi contratti buyback e allinea meglio gli interessi di breve e lungo periodo delle parti coinvolte”. Questi accordi durerebbero 20-25 anni, più dei buyback. L’Iran presenterà i progetti individuati e la nuova tipologia di contratto entro 2-3 mesi.

L’Iran sarebbe già in contatto con ex compratori di petrolio dell’Unione europea – dal trader Vitol Group ai colossi petroliferi Royal Dutch Shell, Total, Eni – e con importatori dell’Asia per assorbire l’aumentato output o investire in nuovi giacimenti petroliferi.

BATTAGLIA NEGLI USA

In realtà molti analisti (a anche gli altri Paesi dell’Opec) dubitano che l’Iran possa far salire la sua produzione di greggio così rapidamente come afferma. Soprattutto occorrerà prima attendere la fine delle sanzioni economiche. Il via libera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite è già arrivato, ma le sanzioni non saranno tolte immediatamente, bensì più probabilmente nel corso dell’anno prossimo, perché l’intesa deve essere approvata dal Congresso Usa. Qui si prospetta una vera battaglia politica per Barack Obama, che ha fortemente voluto l’accordo: i Repubblicani – che ora controllano il Congresso – sono molto attenti alle istanze delle lobby contrarie a ogni intesa con l’Iran, sia per questioni ideologiche che economiche. Per esempio, le lobby pro-Israele (che ha apertamente manifestato la sua contrarietà) e le lobby che rappresentano le multinazionali delle armi non sono propense ad approvare la rimozione delle sanzioni. E’ probabile che anche i candidati Repubblicani alle presidenziali del 2016 sfodereranno la carta della “pericolosa” intesa con l’Iran nelle loro campagne elettorali per sottrarre voti ai Democratici (tra i quali c’è comunque chi si è staccato dalla linea di Obama, come il Senatore Robert Menendez). Addirittura l’attivista Larry Klayman, un veterano delle battaglie in tribunale contro i presidenti, inclusi Bill Clinton e George Bush, ha fatto causa a Barack Obama sostenendo che la ratifica dell’accordo con l’Iran è incostituzionale.

Tutti gli avversari dell’intesa – da quelli interni a Israele – vorrebbero l’abbandono immediato dei negoziati e il ritorno alla politica delle sanzioni e dell’isolamento con l’obiettivo di ottenere concessioni ancora maggiori o addirittura “far capitolare” la Repubblica Islamica. Una linea che Obama e il suo staff ritengono invece controproducente, come dimostrato anche dalle dichiarazioni del segretario di Stato John Kerry in risposta alle proteste israeliane: un’aggressione di Israele contro l’Iran, sia militare che nella forma di cyber-attacchi, sarebbe “un errore gigantesco” con gravi conseguenze per Israele e tutto il Medio Oriente.

AZIENDE EUROPEE TRA INTERESSE E CAUTELA

L’Europa e le sue aziende non sembrano condividere i timori israeliani; piuttosto intravedono ghiotte opportunità. Il vice-ministro dell’Economia iraniano Mohammad Khazaei ha indicato che l’Iran ha già completato i negoziati con alcune aziende europee desiderose di investire nella Repubblica Islamica; sarebbero già state assegnate “le licenze e le garanzie per gli investimenti esteri” e approvati progetti per oltre 2 miliardi di dollari.

Tra le aziende che sicuramente possono essere interessate a investire in Iran c’è la nostra Eni, che è stata pioniere nelle attività petrolifere in Iran fin dai tempi dello Scià e che con il presidente Enrico Mattei ha cercato di trasformare i rapporti tra Paesi che sviluppavano la ricerca di idrocarburi e Paesi detentori delle risorse minerarie. In Iran ai tempi dello Scià gli uomini dell’Eni sono andati a cercare idrocarburi in zone dove nessuna compagnia osava andare, i monti Zagros. I rapporti dell’Eni con l’Iran sono dunque stati solidi e sono durati nel tempo: oggi la società italiana potrebbe trarre vantaggio da tanta tradizione.

E’ anche vero che la maggior parte dei colossi europei del petrolio ha anche espresso cautela nei confronti dell’Iran e di questa “valanga” di contratti in arrivo e ha indicato che aspetterà comunque che le sanzioni siano completamente rimosse prima di iniziare a lavorare su progetti nel Paese.

GERMANIA IN POLE POSITION 

La Germania non ha invece atteso per organizzare la sua prima visita ufficiale a Teheran dopo anni di sanzioni: il ministro dell’Economia Sigmar Gabriel è volato la scorsa settimana in Iran con una delegazione di alti rappresentanti del mondo industriale tedesco. Questi hanno detto che le esportazioni dal loro Paese all’Iran potrebbero arrivare anche a quadruplicare nei prossimi anni e aziende come Volkswagen e Siemens, ma anche migliaia di piccole imprese, sono molto desiderose di ristabilire il ruolo dominante che avevano in passato nelle esportazioni verso l’Iran: la Germania è stato infatti il primo fornitore dell’Iran al di fuori del Medio Oriente fino al 2007, quando ha perso il primato a vantaggio della Cina, che oggi esporta da 15 a 20 volte più beni verso la Repubblica Islamica rispetto alla Germania. Eric Schweitzer, capo della Camera di Commercio tedesca DIHK, ha salutato la visita di Gabriel come “un ottimo segnale” per le aziende tedesche e sostiene che, anche se gli scambi Germania-Iran non riprenderanno immediatamente, potrebbero raddoppiare fino a un valore di 6 miliardi di euro nei prossimi due anni e raggiungere i 10 miliardi nel medio termine.

LA VULNERABILITA’ DELLA RUSSIA

Al contrario chi potrebbe preoccuparsi per l’intesa con l’Iran è la Russia, già colpita dal crollo del prezzo del petrolio. Ora è da prevedersi che l’Iran immetta sul mercato dell’energia grandi quantitativi di greggio col rischio che il prezzo del petrolio cali ulteriormente, benché gli insider dell’industria oil & gas dicano che le compagnie prevedono per il prossimo anno una media di 80 dollari a barile, perché anche la domanda dai Paesi emergenti sta aumentando. 

Ma sicuramente ora sul mercato c’è un nuovo temibile competitor: l’Iran avrà più facile accesso ai mercati globali dell’energia, osserva Donald Jensen, resident fellow del Center for Transatlantic Relations, e la concorrenza del petrolio e del gas iraniano sarà un danno per la Russia. Ed Morse, head of commodities research di Citigroup, sostiene che la posizione della Russia sia particolarmente vulnerabile come esportatore di petrolio verso l’Europa: “Le aziende petrolifere in Europa, specialmente sul mercato mediterraneo, sono molto desiderose di siglare contratti per l’esplorazione e la produzione in Iran e di mostrare che sono pronte a riprendere i loro rapporti commerciali con l’Iran”, secondo Morse. “Perciò vorranno comprare più greggio iraniano e le prime vittime saranno Russia e Iraq“.



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