Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Riccardo Ruggeri apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
Oggi viene presentato a Renzi un corposo Report promosso dalla Commissione Industria del Senato sull’Automotive europeo (Alessandra Lanza: complimenti!), nella ricca prefazione, felice la “mano” del suo Presidente, Massimo Mucchetti. Uno scenario aggiornato su un comparto, quello dell’Automotive, strategico per quei Paesi che hanno la fortuna di possederlo.
Per Automotive si intende: progettazione, produzione, distribuzione, componentistica, servizi finanziari, d’officina, etc.. I numeri.
Nel ’90 le sue attività industriali contribuivano per il 3% del valore aggiunto italiano, precipitato al 2% nel 2012. Percorso inverso in Germania: le attività industriali salite al 9%. I dati tedeschi smentiscono una delle tante falsità sul “fatal declino” dell’Automotive in Europa. Quando si ragiona del business dell’auto, trovo ridicole le semplificazioni, tipo “Marchionne angelo o diavolo”, “liberismo o statalismo”, “sindacalismo nobile o d’accatto”. Un analista deve essere esente da qualsiasi forma di sudditanza verso uomini, poteri, ideologie, indica fatti e numeri, ragiona. Libero poi, ognuno, di trarre le sue conclusioni. Ecco le mie.
1. Il declino della Fiat (intesa come Fiat Auto) è iniziato alla morte di Valletta. Gli anni dal ’68 all’80 furono quelli della scelleratezza (prosciugati tutti i “risparmi vallettiani”), quelli dall’80 al ’95 della viltà (“diversificazione” anziché “internazionalizzazione del core”: sudditanza a Cuccia), quelli dal ’95 al 2004 della confusione, dal 2004 al ’14, l’attesa della fine.
2. Nel 2004 arrivò Marchionne, ristrutturò e tentò di riposizionare Fiat, separò CNH/Iveco da Fiat Auto (bene!). Si concentrò su Fiat Auto. Nel 2009 una mazzata: rispetto a cinque anni prima il titolo perse oltre il 30%, Moody’s la classificò “junk” (spazzatura). D’improvviso, dopo aver ricevuto un rifiuto da tutti i costruttori mondiali, Obama offrì a Fiat, la Chrysler, con ricca dote. Il vento cambiò, da allora i media descrissero Marchionne come un drago del management.
3. Obama, anziché abbandonare al loro destino le aziende fallite, come insegna la dottrina, si fece “statalista”, salvatore politico di GM e Chrysler, immettendovi 80 miliardi di dollari. Poi le “riprivatizzò”. Il giochino costò ai contribuenti americani 16,5 mld di dollari.
4. Nel 2009 Marchionne annunciò “Fabbrica Italia”, un piano strategico che prevedeva, senza chiedere aiuti né allo Stato né agli azionisti, la produzione di 1,4 milioni di auto in Italia, con un investimento di 20 miliardi di . Fu un flop, nel 2012 lui stesso si scusò e lo ritirò. In quel momento, mi chiesi se l’Italia avesse ancora un’azienda automobilistica. Lo scorso anno negli stabilimenti italiani furono prodotte appena 400 mila auto, quest’anno potrebbero essere 650 mila.
5. Sul versante finanziario invece, noi investitori (storici) di Fiat dobbiamo ringraziare Sergio Marchionne. Ove si consideri la somma delle capitalizzazioni di borsa di FCA e CNH Industrial rispetto al costo “cumulato” del capitale ci ha dato un rendimento medio annuo del 27% sul capitale investito (Cfr. Prefazione). Straordinario. Curiosamente, questo risultato è riferibile al passato, non proiettabile al futuro. Confrontiamo FCA con un concorrente simile come profilo prodotto-mercato (Volkswagen). Nel 1° trimestre 2015 FCA ha fatturato 26,4 miliardi, utile netto 92 milioni, debiti finanziari netti 11 miliardi, mentre VW con un fatturato doppio (52,7 mld) ha un utile netto di 2.900 milioni, con una liquidità netta di 20 mld. Due mondi.
6. Maggio 2014. Marchionne presenta un nuovo piano strategico quadriennale col quale quota FCA a Wall Street, il titolo si impenna fino a 17 , da qualche mese galleggia intorno ai 13- 14 . I dati del 1° trimestre sono quelli sopra detti. Prende la decisione di “sfilare“ Ferrari da FCA per valorizzarla, quindi si offre in matrimonio a GM, viene respinto, non si dà per vinto, insiste. Il perché della mossa sfugge ai più, il dilemma resta anche nel 2015: FCA può considerarsi un player globale?
7. I problemi strutturali sono ancora tutti sul tavolo. Il sogno di Marchionne di coinvolgere l’Europa per abbattere le capacità produttive, stile siderurgia (brutalmente avere quattrini statali per chiudere impianti obsoleti), è rientrato, dopo che la Germania ha invocato il principio (sacrosanto) della “selezione della specie”.
Il valore del Report sta nella sua analisi, scevra di ogni polemica (nel mondo politico-giornalistico italiano miscelare le parole Fiat, Marchionne, Governo, Politica industriale, Fiom, equivale innescare una fusione termonucleare) e nell’aver coniugato il problema del business auto con quello della componentistica italiana (la “ciccia”). C’è un tema, anzi il tema, che il Report sottolinea con eleganza, la Politica Industriale, limitandosi a lanciare una serie di traccianti radioattivi.
L’ho scritto fino alla noia, l’industria dell’auto è “l’industria delle industrie”, in essa ci sono tutte le tecnologie, tutti i materiali, tutte le innovazioni, ha un’alta occupazione, diretta e indotta, ha implicazioni sociali di ogni tipo, i suoi processi sono esempi di integrazione culturale, sociale, persino razziale, opera in uno dei due mondi che connotano questa epoca: la mobilità e la comunicazione. Hai un’auto e un iPhone? Allora sei un uomo libero. Resta la domanda, noi un’azienda di tal fatta l’abbiamo?
Non c’è da scandalizzarsi quando lo Stato gioca un ruolo in un comparto così strategico, lo fanno tutti (a volte mi sembra il dibattito sulla liberalizzazione della marijuana). L’ha fatto la mitica signora Thatcher ai tempi del fallimento della British Leyland, andando lei stessa in Giappone a offrire leggi e incentivi in cambio di lavoro (!), l’hanno fatto Bush e Obama, l’ha fatto la Germania (proprio con Marchionne e Opel). La politica degli incentivi in Europa è ormai diffusa, c’è persino un “arbitraggio dei sussidi fra Paesi”, tutti se ne avvalgono, alcuni se ne vergognano ma li prendono o li danno, ne cito solo due, nostrani: FCA e la Serbia, VW e l’Italia (bene ha fatto Renzi a “incentivare” il Suv Lamborghini in Motor Valley).
I vertici Fiat di 30 anni fa, con superficialità e arroganza, pensarono, possedendo Alfa e Lancia, di poter, in automatico, entrare nel segmento “Premium”. Non capirono che non avevano, non solo le capacità finanziarie, ma neppure le skill tecniche e culturali richieste. Così fu per i loro successori, nessuno capì che il “Premium” è un altro mondo, una brutta bestia: solo mani esperte lo sanno maneggiare. Peccato che in tutti questi anni un marchio prestigioso come Alfa Romeo non sia entrato nell’orbita di un vero costruttore “Premium”, valorizzando così un patrimonio italiano che langue da troppo tempo.
Auguriamoci che questo Report faciliti riflessioni non ideologiche sul come uscire dal cul de sac in cui l’Automotive italiano si trova. Presidente Renzi, ci faccia sognare.