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Grecia, cosa succede se vince il Sì al referendum

Se la vittoria del No al referendum in Grecia sembra spianare la strada all’abbandono dell’euro, neppure una vittoria dei Sì prospetta una rapida soluzione alla crisi.

La vittoria del Sì potrebbe offrire qualche spiraglio per una soluzione positiva della crisi, ma prospetta comunque scenari molto complessi. La scelta degli elettori sarebbe quasi certamente premiata con il mantenimento dell’ELA durante i negoziati per il nuovo programma. In teoria, potrebbe anche essere fatta qualche concessione sulle condizioni e idealmente potrebbe essere decisa la copertura delle scadenze del 20 luglio, ma ciò dipenderà probabilmente dall’evidenza di una discontinuità nella gestione del governo e dall’attuazione di misure che diano dimostrazione concreta di buona volontà. Inoltre, è ipotizzabile una nuova revisione dell’obiettivo fiscale per il 2015, ormai irrealizzabile, anche se il percorso successivo sarebbe probabilmente confermato. Come Juncker ha dichiarato, tuttavia, “anche nel caso di una vittoria del Sì, avremo da affrontare un negoziato difficile”.

1. Il Governo rassegnerà le dimissioni dopo la bocciatura del referendum? Tsipras ha dichiarato lunedì che in caso di sconfitta agirebbe “in accordo con la costituzione”, espressione che potrebbe indicare una volontà di dimettersi; Varoufakis ha definito “possibili” le proprie dimissioni, ma ha prospettato che il Governo rimanga in carica per negoziare con la Commissione Europea e la BCE: “se il popolo greco dice sì, faremo quello che serve per assicurare che sia firmato [un accordo…] forse cambieremo la configurazione del Governo; alcuni di noi potrebbero non avere lo stomaco per farlo”6. Se il Governo di Syriza non si dimettesse, idealmente dovrebbe chiedere all’Eurogruppo un programma ESM a condizioni analoghe a quelle approvate dagli elettori, cioè all’offerta avanzata dai creditori il 25 giugno. Il
vantaggio di questa opzione è che il processo potrebbe essere avviato senza ulteriori ritardi.

Tuttavia, le condizioni del 25 giugno non si riferivano a un nuovo programma pluriennale ESM, ma all’estensione del vecchio programma EFSF. Inoltre, una condizione per convincere tutti i governi dell’Eurozona potrebbe essere costituita proprio dal cambio di governo, visti i rapporti ormai profondamente deteriorati fra Tsipras e gli altri leader europei.

2. In caso di dimissioni del governo Tsipras, sarebbe possibile formare un governo alternativo? Le dimissioni del governo Tsipras, d’altra parte, aprirebbero scenari tutt’altro che facili. Syriza dispone di 149 seggi su 300, 17 sono di Alba Dorata e 12 dei comunisti del KKE. Nuova Democrazia (76), To Potami (17), Pasok (13) e ANEL (13) non dispongono assieme che di 119 seggi, ben 32 meno di quelli richiesti per la maggioranza. La cooperazione di Syriza, o di ampi settori del partito, sarebbe necessaria a ogni governo di transizione. Al momento, non vi sono indicazioni che Syriza sia alla vigilia di una scissione fra moderati e radicali e che, perciò, possano crearsi alternative parlamentari a un governo guidato da Syriza, o comunque sostenuto da Syriza. In effetti, l’unica soluzione plausibile appare quella di un governo di unità nazionale che includa la coalizione della sinistra radicale.

L’ipotesi di uno scioglimento delle Camere dopo le dimissioni di Tsipras, infine, appare incompatibile con i ritmi galoppanti della crisi e, nonostante la gravissima situazione economica prodottasi sotto il governo Tsipras, potrebbe rivelarsi illusoria l’aspettativa di uno spostamento di massa degli elettori verso i partiti moderati. La Costituzione ellenica fissa un massimo di due mesi fra lo scioglimento del Parlamento e la convocazione del nuovo, di cui un mese dallo scioglimento dell’Assemblea alle elezioni, e un altro mese dalle elezioni alla convocazione del nuovo Parlamento; in pratica, è difficile che per insediare il nuovo Parlamento occorrano meno di 3-4 settimane dal momento del decreto del Presidente. Nel frattempo, il paese sarebbe affidato a un governo di servizio.

Tuttavia, come detto, entro due settimane dal referendum l’intero sistema bancario potrebbe essere dichiarato insolvente, perdere l’accesso all’ELA e ai sistemi di pagamento; con il blocco degli approvvigionamenti dall’estero, potrebbe sparire molto rapidamente la merce dai negozi, il che potrebbe portare rapidamente all’emergere di problemi di ordine pubblico. Perciò, anche in questo scenario potrebbe essere alla fine inevitabile per la Grecia riappropriarsi della sovranità monetaria, violando almeno temporaneamente i trattati.

Inoltre, malgrado tutto ciò le elezioni potrebbero rivelarsi inutili: è probabile che Syriza esca da nuove elezioni ancora come il primo partito del paese, nonostante il disastro di questi cinque mesi; le opposizioni, infatti, sono divise e prive di leader carismatici. Se così fosse, i creditori si troverebbero ancora alle prese con l’interlocutore più sgradito.

In conclusione, anche in caso di vittoria del Sì il percorso verso l’erogazione di nuovi aiuti sarebbe difficilissimo, visti il ruolo dominante di Syriza nell’attuale Parlamento, le scadenze pressanti e il tracollo dell’economia ellenica ormai in pieno corso.


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