Dopo anni di bluff greci, dopo mesi di melina tsipriota, questa volta il grande bluff l’ha fatto la Germania, anzi esattamente il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. Se era vera o era una finta lo sapremo solo dagli storici, ma senza la Grexit temporanea inserita tra parentesi quadre nell’ultimo capoverso del documento di lavoro Alexis Tsipras avrebbe riproposto le sue giravolte bizantine. Così, Atene evita il peggio e ottiene un terzo salvataggio, altri 86 miliardi che portano il bilancio degli aiuti concessi dai governi europei e dal Fondo monetario internazionale a oltre 320 miliardi (senza contare le perdite del 2010 in capo per lo più alle banche e del 2012 subite invece dai contribuenti della zona euro).
La Grecia, dunque, non è fuori. Ma non è nemmeno dentro. Perché lo sia stabilmente occorreranno molti anni, quelli necessari per tornare a indebitarsi sul mercato a tassi ragionevoli. Beppe Grillo continua ad accusare di usura la Ue (e improbabili economisti gli danno spago) che nel 2010 impose (sbagliando) tassi del 5 per cento e adesso carica poco più del 2. Se Atene fosse sul mercato dovrebbe pagare, secondo le simulazioni attuali, oltre il 20 per cento. Tagli, tasse, riforme, privatizzazioni e tutto quel che è scritto nel protocollo di Bruxelles servirà a riportare la fiducia (la merce più preziosa sul mercato)? Onestamente non si sa.
Per il momento l’accordo ha trasformato una crisi internazionale in una tempesta nazionale. Ma nulla garantisce che non si torni indietro. Tutto dipende da Tsipras e dalle classi dirigenti greche. Vedremo mercoledì come si comporterà il Parlamento. Quanto alle élite economiche finora non hanno dimostrato un vero attaccamento al proprio Paese. I tedeschi si sono tassati per pagare l’unificazione. Gli italiani per entrare nell’euro. Gli insegnanti newyorchesi hanno impegnato il loro fondo pensioni per evitare il default della loro città. I ricchi greci, a cominciare dagli armatori, hanno portato i soldi all’estero. E questo lo chiamano orgoglio nazionale.
Tsipras, gran seminatore di vento, è stato sconfitto nettamente. Molti dicono che è stato umiliato e che si tratta di una vera e propria capitolazione. Ma non bisogna dimenticare che porta pur sempre a casa 86 miliardi. Le condizioni imposte sono terribili perché la Repubblica ellenica è ridotta a uno straccio ad opera dei greci e degli altri europei (c’è un chiaro concorso di colpa). Si dice che i greci debbono fare in tre giorni quel che non hanno mai fatto in trent’anni. Può darsi. Ma non dimentichiamo che Mario Monti ha fatto molte di quelle cose (tasse e pensioni per esempio) in un solo giorno. Noi siamo più ricchi e il Paese ha una struttura industriale ancora vasta e tutto sommato solida, tuttavia anche per l’Italia la tagliola dell’Eurogruppo è stata micidiale e solo tra un anno, quando e se si consoliderà la ripresa, sapremo se è stata anche salutare.
L’accordo di Bruxelles contiene alcuni elementi interessanti e nuovi, possono diventare semi che germogliano in futuro. Viene creato un fondo straordinario di 50 miliardi garantiti con aste reali da mettere in vendita nel tempo. La metà serve per ricapitalizzare le banche, il resto per investimenti e per ridurre lo stock del debito. Finalmente il patrimonio pubblico non è più manomorta, ma entra nel circuito della crescita. E nello stesso tempo si ammette che bisogna agire sullo stock del debito con misure straordinarie. L’avanzo primario, quindi il rigore fiscale, è una condizione necessaria, ma non sufficiente.
Può diventare un precedente anche in altri Paesi, tra i quali l’Italia? Qui da tempo si è aperto un dibattito che non ha trovato esito anche per l’opposizione della Banca d’Italia la quale ha paura di scorciatoie fittizie rispetto alla via maestra: conti in equilibrio e riforme strutturali. Adesso che questi sentieri sono stati percorsi, è possibile imboccare anche la strada parallela (ma convergente) per alleggerire la zavorra che blocca il paese.
Non solo. La crisi greca e la insostenibilità del suo debito, come spiega lo studio del Fondo monetario internazionale (il quale non lo dimentichiamo mette sotto accusa in modo specifico il governo Tsipras, ricordando che un anno fa quel fardello, per quanto pesante, era ancora sostenibile) ripropone nell’intera euro zona la questione dei debiti sovrani. C’è il livello eccessivo dell’Italia sia in relazione al pil (130%) sia in assoluto (2.100 miliardi e rotti), ma c’è anche il problema di Paesi che hanno compiuto un balzo destabilizzante (in Spagna circa quaranta punti di pil, o nella stessa Francia) i quali continuano a non rispettare la regola del deficit (la Spagna resta vicina al 6%, il doppio di quanto prevede il patto di stabilità).
Ebbene, Roma che fa le riforme, che non ha mai chiesto aiuto né al Fmi né al Fondo europeo salva stati, che non ha visto fallire nessuna banca (nonostante Mps e la debole capitalizzazione), ha le carte in regola per porre la questione, magari rilanciando la proposta tedesca di un redemption fund un fondo per il riscatto, e egli eurobond di Juncker-Tremonti. La Germania sarebbe contraria. Ma non può avere tutto.
In fondo le follie greche qualcosa debbono aver insegnato; anche dal male può nascere il bene, secondo gli insegnamenti della dialettica (greca appunto).
Stefano Cingolani