Alexis Tsipras da ribelle ad allineato, ha dato il via libera al pacchetto di riforme imposte dalla Troika per concedere nuovi prestiti all’economia ellenica. E intanto, metafore e richiami ai miti della Grecia classica si sono sprecati negli editoriali di chi ha cercato di spiegare, spesso facendo ricorso anche ad analisi antropologiche velate di razzismo, perché Atene è sull’orlo del baratro. Non vogliono fare sacrifici, i debiti si ripagano e basta, hanno falsificato i conti, è il risultato di decenni vissuti sopra le proprie possibilità. Ma quanta verità c’è in queste affermazioni? Non più di qualche briciola.
CONTI TRUCCATI FIN DA PRINCIPIO
L’unica affermazione vera tra quelle appena elencate è che i governi di Atene hanno barato sui conti pubblici pur di accedere ad Eurolandia, attestando di stare nel parametro di Masstricht del 3% del deficit/Pil dal 1997 e mentendo sempre. Fino a quando sono stati scoperti nel 2004 senza però che l’asse franco-tedesco dicesse nulla (almeno fino all’esplosione della crisi del debito, ma questa è un’altra storia). A parte questa colpa da addebitare a un manipolo di corrotti – e ai loro corruttori, senza dubbio, il resto è poco più che chiacchiera da bar. Persino quella, abusatissima, che sia un numero eccessivo di dipendenti pubblici a pesare in maniera insostenibile sul bilancio dello Stato, tanto da essere all’origine di un debito monstre del 180% sul Pil (e abbiamo poco da puntare il dito noi in Italia, buoni secondi a quota 132%). Lo scrive qui, in un’analisi approfondita e ricca di numeri, Alberto Bagnai, noto economista dichiaratamente anti-euro.
I DIPENDENTI PUBBLICI SONO MENO CHE IN GERMANIA
Si tratta, scrive Bagnai “di una menzogna, fatta per giustificare un’altra menzogna… ho verificato anche sui dati dell’Eurostat. Anche rapportando gli occupati nelle amministrazioni pubbliche agli occupati totali la bufala resta tale: dal 1999 al 2007… la Grecia è appena sopra la media dell’Eurozona (noi appena sotto), e sopra la Grecia si trovano i virtuosi Lussemburgo, Belgio, Francia e Germania. Naturalmente è anche falso che il settore pubblico greco fosse sovradimensionato: il rapporto fra spesa pubblica e Pil in Grecia è inferiore a quello tedesco”. Secondo il database della Commissione europea, l’Ameco la media Ue è poco sotto il 50%: l’Italia “è vicina alla media dell’Eurozona e sotto a “virtuosi” come Francia, Austria, Belgio e Finlandia. La Grecia sta ancora meglio: fra il 1999 e il 2007 il rapporto spesa pubblica/Pil è stato in media inferiore perfino a quello di Germania e Olanda”.
GRECI FANNULLONI?
Abbastanza sorprendente. E si resta sorpresi anche a leggere le statistiche sul lavoro: “prima della crisi – ha scritto il saggista Vladimiro Giacché, sul Fatto Quotidiano del 2 agosto 2011 – i greci lavoravano in media 44,3 ore alla settimana. La media dell’Unione Europea è di 41,7 ore, quella tedesca è di 41 ore (rilevazioni Eurostat). Secondo la banca francese Natixis il totale delle ore lavorate per addetto sono 2.119 in Grecia, 1.390 in Germania”. Eppure l’immagine che trapela per lo più è che il tipico greco stia tutto il giorno a bere ouzo all’ombra di un ulivo: forse accade nei 23 giorni di vacanza di cui gode in media. Ironia della sorte, quanto a ferie, “il record europeo è dei tedeschi: 30 giorni”, scrive Giacché che a suo tempo aveva sconfessato anche la questioni dei super-salari: “il livello salariale medio in Grecia è pari al 73% della zona euro (e un quarto dei lavoratori greci guadagna meno di 750 euro al mese)”. E riguardo agli impiegati pubblici, “già prima della crisi gli insegnanti, ad esempio, dopo 15 anni di servizio guadagnavano in media il 40% in meno che in Germania (Fonte: Rosa Luxemburg Stiftung)”.
… E IMPRODUTTIVI
Secondo le “statistiche sulla produttività media del lavoro (fonte Ocse) – scrive ancora Bagnai – nel periodo precedente alla crisi la Grecia è stata, non solo nell’Eurozona, ma nell’intera Ocse, uno dei paesi a più forte crescita della produttività… questo dato non significa che un greco fosse più produttivo di un tedesco: i livelli tecnologici delle due economie sono diversi, e quello greco è inferiore. Nel 2007 il Pil per ora lavorata era pari a circa 30 dollari in Grecia e a circa 50 in Germania. Ma nel 1999 i valori erano rispettivamente 24 e 43. Dall’inizio dell’euro (che non coincide con l’ingresso della Grecia), il lavoratore greco ha aumentato il valore prodotto in un’ora di lavoro di circa 6 dollari, pari al 25%, e quello tedesco di 7, pari al 16%. In Grecia quindi la produttività stava crescendo più rapidamente che in Germania, la Grecia stava recuperando posizioni, che poi è ciò a cui sarebbe dovuto servirle entrare nell’Eurozona”.
PENSIONI D’ORO E BABY PENSIONI
Il sistema pensionistico greco è insostenibile (né più né meno come il nostro) perché è in perdita e per poter onorare il pagamento delle pensioni fa affidamento sui trasferimenti dallo Stato (esattamente come l’Inps). Ma noi abbiamo fatto la riforma Fornero, è l’obiezione classica. Vero, però anche i greci hanno fatto la loro riforma. Ma andiamo con ordine. Che la causa dello squilibrio sia da attribuire allo strabordare di pensioni d’oro è quantomeno fantasioso. Sempre Giacché scrive che, nel 2011, “le presunte “pensioni d’oro”, poi, sono queste: una media di 617 euro al mese, pari al 55% della media della zona euro”. Pensioni povere ma che forse sono baby, cioè arrivano ben prima dell’età pensionabile. Età pensionabile fissata dalla Grecia in 67 anni nel 2032 e che la Troika chiede ora di anticipare al 2022. Ma che non sarebbe neppure lontanamente l’età a cui effettivamente i greci si ritirano dal lavoro, secondo i critici. Il fact checking lo ha fatto pagellapolitica.it, , ricorrendo ai dati più aggiornati dell’Ocse. “Per varie ragioni (incentivi fiscali, il proprio stato di salute o la situazione del mercato del lavoro) nella maggior parte dei Paesi Ocse il lavoratore medio va in pensione prima dell’età legale. Secondo l’Ocse l’età media reale del pensionamento nel periodo 2007-2012 era 61,9 anni per gli uomini greci e 60,3 per le donne greche. I tedeschi “durano” sul lavoro poco più di due mesi in più (62,1 anni) mentre le tedesche vanno in pensione oltre un anno dopo le greche, in media (61,6 anni)”.
GLI ELLENICI NON VOGLIONO FARE LE RIFORME
Non solo le pensioni. I capitoli delle riforme già realizzate da Atene sono diversi. Intanto il Paese è stato il più severo nell’applicazione dell’austerità con una prima manovra, nel 2010, che ha comportato il taglio di 30 miliardi di euro. Lo ricorda Businesspeople: “Atene ha aumentato l’età pensionabile portandola a 65 anni… Le contestazioni non si fermano solo all’età pensionabile, ma si polemizza anche sui salari degli statali (-15%), sullo stop delle tredicesime e quattordicesime e sugli aumenti bloccati fino al 2014 (già bloccati fino al 2012 quelli dei privati). Tra le altre riforme, l’aumento dell’Iva di 4 punti (ora è al 23%) e delle accise su sigarette, alcol e benzina”. Iva dunque al 23% fin dal 2010, mentre dal novembre 2009, come precisa la Cgil qui, erano stati congelati “gli stipendi pubblici superiori a 2.000 euro mensili. Nel gennaio del 2010 vi è stata una riduzione del 10% delle prestazioni sociali, mentre nel marzo 2010 tale riduzione è salita al 12% e la quattordicesima mensilità è stata decurtata del 60%. Quest’ultima misura è stata applicata anche ai dipendenti delle aziende di Stato, cui è stato inoltre imposto un taglio dello stipendio del 7%. A maggio 2010, con l’intervento del Fmi e di altre istituzioni finanziarie, i tagli al salario indiretto sono passati dal 12% al 20%, mentre la tredicesima e la quattordicesima mensilità sono state ridotte a tre versamenti forfettari (importo complessivo pari a 1.000 euro) e interamente soppresse per i dipendenti con stipendio mensile superiore ai 3.000 euro (760.000 dipendenti pubblici)”. Tutto ciò in cambio, racconta per esempio Repubblica di 240 miliardi di prestiti in cinque anni. Cinque anni in cui “il Paese ha perso il 25% del pil e la disoccupazione è schizzata al 25%. La cura della Troika ha dato alcuni risultati positivi – il bilancio dello stato è in attivo, il Pil è tornato a crescere dal secondo semestre 2014 – e altri negativi: le persone sull’orlo della povertà sono cresciute per Eurostat dal 23 al 40%”.
PUNIRE I RICCHI PER FAR CRESCERE L’ECONOMIA E IL LAVORO
E dunque è giunto il momento di punire i ricchi. Ci sono alcune categorie, come quella degli armatori, che godono effettivamente di privilegi. Ma, nonostante questo, non creano lavoro né ricchezza in Grecia. Solo il 21% della flotta mercantile greca ha sede legale nel Paese, 800 navi appena, mentre le altre sono registrate in paradisi fiscali “come Liberia, Malta, Panama e anche Cipro”, così scrive il professor Pothis Lysandrou delle City University di Londra (ne avevamo parlato qui). La permanenza in patria di questo “21% è totalmente dipendente dalle generose concessione fatte alle società navali greche, la più rilevante è l’esenzione, contenuta nell’articolo 89 della Costituzione greca di ogni imposizione fiscale eccetto quella sulla stazza che è comunque una della più economiche al mondo; la garanzia di non subire controlli sui profitti e le soglie minime piazzate in termini di personale di stanza in Grecia (appena 4 persone) e sul deposito di euro in Grecia (100mila euro)”. Dunque è plausibile pensare che una volta rimosse le agevolazioni le flotte non faranno che spostare la loro sede legale altrove. Impatto zero sull’economia locale, insomma.
Forse (e il buonsenso lo dovrebbe suggerire) le politiche di austerità che si accompagnano a un continuo aumento del debito con nuovi prestiti, semplicemente, non sono la soluzione. D’altronde lo urla come può anche il premio Nobel per l’economia Paul Krugman “Il collasso dell’economia greca non è imputabile solo agli errori che il suo governo ha fatto fino al 2008, ma soprattutto alle misure di austerità e all’euro”.