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Il racconto straordinario sull’Italia scritto dal Fmi

Recessione

Non mi perdo mai l’appuntamento annuale con lo staff report che il Fmi dedica al nostro Paese. Come tutte le narrazioni che ci riguardano, siano scritte da noi stessi che da qualche osservatore estero, ne viene immancabilmente fuori un racconto a metà fra lo straordinario e l’orrore, con una spiccata predisposizione per il secondo.

Quest’anno invece il pendolo oscilla più verso lo straordinario, laddove bisogna intenderlo letteralmente come ciò che sta fuori dall’ordinario, come i nostri crediti deteriorati, ad esempio, che ormai sono arrivati a 330 miliardi, oppure le condizioni della nostra amministrazione pubblica, che il Fmi giudica senza troppi peli sulla lingua inefficiente, prendendo a pretesto alcuni dati sui giorni che servono, ad esempio, in Italia per avere un permesso per costruire.

Straordinario anche perché, osserva il Fmi, il nuovo governo ha iniziato una serie di riforme strutturali che sono il mantra preferito dei nostri osservatori, in quanto ritenute l’unico viatico per sanare i nostri mali decennali.

Sarà. Ma poi scopro che nelle previsioni di crescita per quest’anno e il prossimo mentre il governo non ci ha pensato un attimo a inserire un +0,7% di Pil grazie agli esiti del QE, persino prudenziale rispetto al +1,4% della Banca d’Italia, e un +0,3% di crescita grazie al calo del petrolio, i risultati sul pil delle riforme sono quotate un clamoroso zero. Non perché le riforme non provocherebbero risultati, ma perché “c’è incertezza sulla circostanza che vengano inplementate”. E questo non lo dice il Fmi, ma lo stesso governo al Fmi. A scopo prudenziale, si dice.

Ma ciò che più mi colpisce, leggendo questo racconto straordinario su di noi, è che ci ritrovo tutta la vulgata che ha accompagnato la mia vita da adulto: lo stato inefficiente, la corruzione, il mercato del lavoro che non funziona, le piccole e media imprese imbottite di debiti che non sanno come pagare. Lo staff report del Fmi somiglia a una meravigliosa rassegna stampa.

Ciò non vuol dire che non sia interessante da leggere. Provo a farvi una sinossi. L’Italia ha un grande problema di stagnazione, come mostrano i risultati ottenuti dal sul Pil nell’ultimo decennio, provocato dall’andamento deludente della produttività, a sua volta vittime di una serie di circostanze sistemiche. Fra queste ultime le caratteristiche del mercato del lavoro, rigido e ineguale, e l’inefficienza dell’apparato pubblico che culmina nell’esorbitante debito pubblico, che nota avvilito il Fmi, continua a crescere, connotandosi anch’esso per la sua straordinarietà e fonte di continui grattacapi. Ma anche l’andamento delle retribuzioni ha la sua responsabilità, non essendo allineate all’andamento del trend produttivo.

In un box, dedicato all’andamento esterno della contabilità italiano, il Fmi stima che il tassi di cambio effettivo italiano dovrebbe svalutarsi fino al 10% per recuperare competitività sul lato dell’ULC, ossia del costo unitario del lavoro. Bontà sua, il governo ha ricordato che l’ULC non è l’unico modo con cui si può misurare la competitività esterna. Ma vale a pena ricordarla, questa cosa. O meglio, ce la faranno ricordare.

La narrazione si arricchisce, e diventa davvero straordinaria, quando il Fmi analizza gli esiti del QE di Draghi sull’andamento della nostra economia. Noto che quest’anno il Pil dovrebbe crescere dello 0,7% e l’anno prossimo del’1,2%, ma il grosso di questa crescita, come abbiamo visto, deriverà dagli effetti esterni, ossia le politiche monetarie della Bce, che dovrebbero alimentare il credito e svalutare l’euro, e poi il calo del petrolio.

Ma soprattutto tocca il suo apice quando viene affrontato quello che, insieme al debito pubblico, è diventata la grande urgenza del nostro paese: il debito privato. In particolare quello che sta marcendo nei bilanci delle banche e che adesso in qualche modo, come suggerisce il Fmi, dovrà essere affrontato, nell’ampia cornice dei rischi cui deve far fronte il nostro Paese.

Bad bank? Non solo


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