Voglio innanzitutto rivolgere ai nostri centoventitrè ambasciatori, agli otto rappresentanti permanenti, il mio benvenuto personale, quello dei sottosegretari Della Vedova e Giro, quello dell’intera Farnesina.
La politica estera italiana può vantare da quasi 70 anni una straordinaria continuità.
LE FOTO DELLA CONFERENZA DEGLI AMBASCIATORI
Siamo campioni dell’europeismo. Siamo fidati alleati degli Stati Uniti e della Nato. Siamo promotori di apertura al commercio, ai diritti, al dialogo per la pace.
Questa non è la politica estera di un Governo o dell’altro. Questa è l’Italia.
Abbiamo dunque le carte in regola. E francamente, almeno per questi 60/70 anni, non vedo pulpiti che possano predicare a noi italiani il valore della coerenza.
Europeismo, atlantismo, apertura.
Questa, che è stata la nostra bussola, non cambia. Ma il mare della globalizzazione è molto più vasto. Ed è in tempesta.
Non basta più considerarci uno dei vagoni, magari un po’ autonomo, di un treno che altri guidano lungo binari sicuri e definiti.
Siamo chiamati – e non da oggi- a indirizzarlo e in parte a guidarlo, quel treno.
Nel far questo si parte dall’Italia, dai nostri valori, dalle nostre priorità strategiche.
In una parola, dal nostro interesse nazionale.
Un orizzonte che cercheremo di definire al meglio in un percorso di revisione strategica della nostra politica estera che – come molti Paesi europei e come la stessa Ue – stiamo per avviare. Un percorso che non sarà solo interno ma coinvolgerà i diversi attori interessati e spero sarà percepito dal Parlamento e dai cittadini.
Al centro del nostro orizzonte strategico, del nostro interesse nazionale, c’è il rilancio dell’ideale e del progetto europeo.
L’Europa è stata uno dei miti fondativi della Repubblica. E deve continuare ad esserlo.
L’Europa è diventata terreno di confronto tra apertura e chiusura in ciascun singolo Paese. Ma questo confronto non sempre riesce ad affermarsi e ad assumere una autentica dimensione politica nelle Istituzioni dell’Unione.
Per l’Italia, l’UE ha bisogno di più integrazione, di politiche attive per la crescita, di difesa e politica estera comuni.
E, intanto, almeno di far prevalere la politica sugli stereotipi e sui regolamenti.
Non sono in gioco solo le nostre economie. Ma le grandi sfide contemporanee.
Penso all’immigrazione, dove i passi in avanti compiuti anche per la spinta italiana e l’impegno della Commissione convivono con la tristezza dei pledge sulle persone da ricollocare, cui abbiamo dovuto assistere nelle scorse settimane.
La rivincita della politica serve anche per il futuro dei rapporti dell’Unione con la Russia, le cui responsabilità per la crisi ucraina sono evidenti ma che può essere affrontata solo con la saggezza del dialogo e l’intenzione del coinvolgimento in diversi dossier globali. Una strada per la quale l’Italia si è a lungo battuta e che finalmente oggi appare più condivisa e meno solitaria.
E più che mai, serve un’Europa politica per il Mediterraneo, che non è il confine meridionale dell’Unione.
Molti decenni orsono Aldo Moro già diceva: “Non siamo chiamati a scegliere tra Europa e Mediterraneo, perché l’Europa intera è nel Mediterraneo”.
Ecco dunque l’altro asse strategico della nostra politica estera, del nostro interesse nazionale. Il Mediterraneo e dunque il Nord Africa, il Medio Oriente, i Balcani Occidentali.
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Un’area vasta attraversata dal più grave arco di crisi e instabilità dei nostri giorni.
Lo abbiamo visto a danno dei nostri connazionali: ricordo i quattro tecnici rapiti da una settimana in Libia, e Padre Dall’Oglio, due anni fa in Siria.
Ricordo che in sei mesi abbiamo dovuto chiudere due Ambasciate, Libia e Yemen.
Nell’anno trascorso abbiamo lavorato con il Presidente della Repubblica, il Presidente del Consiglio, la Farnesina, l’Alto Rappresentante, per portare la crisi mediterranea al centro dell’agenda globale.
Pivot Mediterranean, ho scritto per Foreign Affairs.
Perché il Mediterraneo non può essere il luogo della riluttanza dell’Occidente.
Il Mare Nostrum non può diventare una sorta di Mare Nullius.
Stiamo moltiplicando gli sforzi per un accordo ampio in Libia, pronti a fare la nostra parte per rendere il dopo accordo stabile e sicuro.
Dobbiamo lavorare con l’UE per consolidare Paesi chiave come la Tunisia e il Libano.
Dobbiamo contribuire con Europa, Usa e alcuni Paesi arabi al rilancio del negoziato per i due Stati in Israele e Palestina.
Stiamo facendo la nostra parte nella coalizione anti Daesh, non solo con la professionalità delle nostre forze armate e di sicurezza, ma partecipando a un’enorme sfida politico-culturale. Sfida decisiva, anche nella comunità islamica italiana che nella stragrande maggioranza rifiuta l’estremismo fondamentalista.
Ci battiamo per le minoranze in Medio Oriente, a partire da quelle cristiane. “Piccolo gregge con grandi responsabilità”, come lo ha definito Papa Francesco.
Siamo in prima fila nei Balcani Occidentali, non solo per le relazioni economiche ma per accompagnare il loro processo di integrazione nell’Unione Europea.
Lavoriamo per attuare l’intesa sul nucleare iraniano. Rassicurando Israele e altri Paesi che la vivono come una minaccia. E valorizzandone i possibili effetti positivi per l’Iran, per le nostre relazioni economiche e per la stabilità regionale.
E a questo proposito fatemi ringraziare Federica Mogherini che con il suo contributo al negoziato ha fatto onore oltre che all’Unione europea, anche all’Italia.
Mediterraneo, Medio Oriente, proiezione verso l’Africa. Non parliamo solo di rischi e instabilità.
Ricordiamo sempre che con cinquanta miliardi i Paesi del Mediterraneo sono dopo UE e USA, la terza area del nostro interscambio. Che i loro tassi di crescita sono tra il 4 e il 5%. Che l’Africa non è più il continente perduto. E’ un continente sospeso. Certo: crisi, terrorismo, pandemie. Ma anche tassi di crescita impressionanti. Anche novanta miliardi da investire in infrastrutture e energia. Anche i risultati ottenuti nel ridurre la povertà e le diseguaglianze sociali e di genere.
Pivot Mediterraneo non può certo essere per l’Italia un esercizio solitario.
Al contrario, è terreno di cooperazione con l’Unione europea e di lavoro per tessere la tela di un nuovo multilateralismo.
Un multilateralismo in cui continuerà a essere cruciale la leadership americana. Non lo dimentichiamo.
Conoscete la famosa battuta di Mark Twain: “i resoconti circa la mia morte sono stati largamente esagerati”. Ecco, i resoconti dell’assenza USA sono largamente esagerati.
Piuttosto il Presidente Obama ha mantenuto alcuni impegni elettorali, dalla riforma sanitaria al ritiro delle truppe in Iraq e Afghanistan e ha ottenuto a Cuba e in Iran risultati che forse resteranno nella storia del XXI secolo.
Europa. Mediterraneo. E poi la terza dimensione strategica della nostra politica estera, che ci interpella non come protagonista regionale ma come attore globale.
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E’ il nostro soft power. Economico, culturale, di stile di vita.
So che questo è il vostro pane quotidiano, cari ambasciatori, da Buenos Aires a Tokyo.
E ne abbiamo visto spesso i risultati. Penso al lavoro straordinario fatto per Expo. E so che altrettanto straordinario è quello in corso per la candidatura al Consiglio di Sicurezza.
Chiunque frequenti la nostra rete diplomatica sa quanto è costante il vostro impegno per promuovere il sistema Italia. Per rispondere alla vera e propria domanda d’Italia nel mondo.
L’Italia delle grandi infrastrutture, dei sistemi avanzati di difesa.
L’Italia delle piccole, medie e grandi imprese che ci fanno onore, specie in settori come l’arredo, l’automazione, l’abbigliamento, l’alimentare. E molti altri.
L’Italia dell’export che può giocare ancora meglio le proprie carte in alcune aree, penso ai due giganti asiatici.
L’Italia che l’anno scorso ha attratto venti miliardi di investimenti diretti.
L’Italia presa ad esempio per il ruolo delle nostre Forze Armate nelle missioni di pace.
L’Italia della bellezza e della storia. Quella superpotenza culturale che poi è la radice autentica del nostro soft power.
L’Italia che in fondo è uno dei Paesi più amati al mondo. E talvolta, pensando a una parte della nostra classe dirigente, verrebbe da dire che è lo è a nostra insaputa.
Prima di avviarmi alle conclusioni voglio ricordare a tutti noi i due fucilieri di marina e confermare loro l’impegno del Governo per difendere le loro ragioni nelle sedi internazionali che abbiamo deciso di attivare.
In conclusione, vorrei parlare un po’ di noi. Dico noi perché, almeno pro tempore, faccio parte di questa comunità.
Il mondo che è alla ricerca di un ordine è sempre più complesso. Sono in gioco attori statali e non statali.
Affiorano nuove questioni globali -dal cambiamento climatico alle pandemie, dalle migrazioni al futuro di Internet- e quelle antiche –economia e sicurezza – sono sconvolte dalla finanziarizzazione globale e dalla sfida asimmetrica del terrorismo.
Due semplificazioni tipiche dell’ultimo scorcio del XX secolo non hanno trovato conferma.
Parlo della Fine della Storia, lo sfortunato titolo di un interessante saggio di Francis Fukuyama. E dell’inevitabile tramonto dello stato sovrano.
La storia irrompe ogni giorno nelle nostre case, e non solo in tv.
Quanto alla sovranità credo abbia ragione il filosofo americano Michael Walzer quando parla di un mondo che è sia post sovrano che ipersovrano. Pensate al sedicente stato islamico e alla sua millantata sovranità.
Insomma, non è scomparsa la sovranità, tantomeno la Storia.
A scricchiolare è piuttosto l’ordine mondiale.
E dalla nostra capacità di contribuire, con l’Unione Europea e i nostri alleati, a ricreare e consolidare questo ordine dipendono tante sfide che consideriamo di politica interna.
Economia, immigrazione, turismo, sicurezza, perfino il livello del mare e l’uso del web.
Insomma, oggi la politica estera ci cambia la vita.
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Per questo, dobbiamo avere a cuore la nostra rete diplomatica.
Negli ultimi anni ha subìto un consistente ridimensionamento (35 uffici esteri chiusi negli ultimi due anni). Per risorse e numero di sedi la nostra rete non è paragonabile a quella di altri Paesi europei con cui pure ci paragoniamo.
Questi Paesi dispongono di risorse finanziarie e umane doppie o triple rispetto alle nostre.
A minori risorse per la rete si sono aggiunte –meglio, sottratte- minori risorse per la cooperazione allo sviluppo e per la difesa.
Risparmiare è necessario, riorientare la rete è possibile, combattere gli sprechi è sacrosanto. Ma sulla strada del ridimensionamento seguita negli ultimi dieci anni non si va lontano.
So che tutto il Governo ne è consapevole, a cominciare dal Presidente del Consiglio. E ringrazio Bonino, Caracciolo, Casini e Dassù per averlo ricordato pubblicamente.
In questi nove mesi ho verificato che la nostra è una rete di grande qualità.
Produce assistenza a imprese e istituzioni, diffonde marchio e cultura italiani, fa a sua volta rete con le altre presenze italiane all’estero.
E poi produce –dati 2014- due milioni di visti, trecento mila passaporti per gli italiani all’estero, otto mila corsi di italiano etc…
Ma attenzione. La nostra rete non è un service. E’ una rete intelligente. E voi, cari ambasciatori, siete sempre più chiamati a prendere l’iniziativa sulle relazioni economiche e culturali.
E più che mai sul terreno diplomatico. Perché oggi c’è bisogno di diplomazia, e di diplomazia italiana. Capace di dialogo, di multilateralismo, di negoziato. Esperta nell’arte di rammendare i conflitti.
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Per la sua storia, e per la percezione che ne ha il mondo, l’Italia può e deve prendere l’iniziativa in tante realtà di crisi che ci circondano.
Abbiamo alle spalle un anno difficile. E quello che ci attende lo sarà altrettanto.
Vi affido le parole di un grande regista – nato credo in Sicilia – Frank Capra. “I dilettanti giocano per divertimento quando è bel tempo. I professionisti giocano per vincere quando infuria la tempesta”.