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La Grecia come nuovo Land della Germania

Studiando la crisi greca con gli occhi di Berlino si può giungere ad una sorprendente conclusione. Se l’unione monetaria fu il risultato di una decisione eminentemente politica, lo stesso avvenne quando, il 1 luglio del 1990, il Marco della Germania occidentale sostituì quello orientale. L’unione monetaria tedesca era compiuta. Fu, come altri, questo, il risultato di una forzatura voluta da Helmut Kohl. Quanto fossero profonde le divisioni sulla questione, lo descrive bene un aneddoto. Il 6 febbraio del 1990, l’allora Presidente della Bundesbank Otto Pöhl  era in visita alla Banca Centrale della ancora sussistente DDR. Qui gli fu chiesto se si sarebbe andati verso un’unione monetaria. La risposta fu secca. Questa era esclusa, in mancanza di necessarie e profonde riforme strutturali. Si poteva invece immaginare un piano graduale di convergenza economica per giungere naturalmente all’integrazione monetaria. Peccato che in quegli stessi giorni il Cancelliere Kohl avesse già avviato negoziati con la DDR e non avesse informato la sua banca centrale. Qualcuno disse fosse colpa di problemi sulle linee telefoniche. L’infrastruttura della DDR non era efficientissima. A Pöhl non restò che dimettersi qualche mese dopo.

Per quest’attacco pago pegno a un eminente giornalista, commentatore e esperto di comunicazione tedesco. Roland Tichy. È recentemente stata pubblicata una sua interessante analisi sulla situazione greca, letta come replica degli errori strutturali dell’unità monetaria tedesca. Tichy non è il solo a sostenere questa tesi. Economisti di scuole diverse concordano sulla assimilabilità dei fenomeni in atto allora  in Germania come oggi in Grecia.

In breve, un forzato allineamento dei livelli salariali  e dei costi tra est e ovest  – oggi, tra sud e nord Europa– fu determinato in entrambi i casi da un livello di cambio che pretese di cancellare la divergenza strutturale di valore tra le due monete. Il cambio 1:1, artificiale e infausto, produsse due effetti. Con la sensazione di un nuovo, elevato e ingiustificato maggiore potere di acquisto, i tedeschi dell’est cominciarono a spendere. I livelli di consumo e i prezzi si allinearono – o tesero ad allinearsi – rapidamente a quelli dell’ovest. Nel frattempo, in mancanza di un impossibile analogo aumento di produttività, il tessuto industriale, commerciale, imprenditoriale dei nuovi Länder si disgregò, incapace di assorbire d’un colpo solo uno shock sistemico che avrebbe potuto essere metabolizzato solo nel corso di diversi anni, e avrebbe richiesto comunque sforzi enormi. La disoccupazione esplose e cominciarono imponenti flussi migratori verso l’ovest.

Per gli Italiani, la storia è familiare. Soprattutto, è ben nota ai greci.  A questo punto, però, le somiglianze cessano. La Grecia, infatti, al contrario della estinta Repubblica Democratica tedesca non ha beneficiato di due elementi fondamentali. Innanzitutto, al sistema pregno di corruttele ed inefficienze imperante a Est si sostituì al momento dell’unificazione il costrutto dello stato di diritto, un sistema di giustizia funzionante e la proverbiale efficacia dell’amministrazione pubblica tedesca. Ai nuovi Länder fu imposta una subitanea – e largamente non voluta – transizione da stato pre-moderno a sistema della Kerneuropa (cuore europeo). In contemporanea, si avviò un flusso di importanti trasferimenti finanziari che ancora oggi scorrono verso est in forma di investimenti, sovvenzioni e contributi sociali. Questi due fattori mitigarono notevolmente i contraccolpi dell’unione monetaria e i suoi effetti devastanti sulla stabilità sociale della Germania dell’est,  senza però riuscire a sanarli del tutto.

In Grecia tutto questo non è avvenuto. Per ragioni diverse e per gli errori compiuti da tutti, il paese è stato lasciato solo laddove sarebbe servito un intervento immediato per la ricostruzione (o costruzione ex novo) delle sue vacillanti ed inferme strutture statuali. Potevano funzionari tedeschi prendere possesso dei ministeri di Atene? Senza un’unione politica, non era né sarà possibile. Il flusso “compensatorio” dei cd. fondi strutturali europei – certo, molti soldi – non è stato sufficiente a permettere il risanamento delle industrie – sia pure inefficienti – che tuttavia esistevano, né ha prodotto la nascita di attività diverse e nuove. Innegabile è in questo la responsabilità criminale degli amministratori, delle imprese e dei cittadini greci. Come in molti casi è avvenuto nelle regioni italiane, i greci hanno sperperato per due decenni, colpevolmente, centinaia di miliardi destinati alla convergenza regionale, alla formazione, al sostegno dell’agricoltura, alla cultura, al turismo. Troppi e troppo eclatanti i casi di malversazione, le truffe, l’ignavia nella mala gestione, che hanno insultato l’etica e l’operosità dei contribuenti europei. Quando i rubinetti del denaro facile sono stati chiusi, quando la crisi ha portato a galla le distorsioni e le fratture di un sistema di per sé fallato, i paesi del sud, Grecia in testa, si sono ritrovati drammaticamente deboli per via delle mancate riforme. Di colpo, è stata scontata l’incapacità di mettere a frutto in impieghi produttivi la enorme massa di danaro affluito, sia in conto trasferimenti che come prestiti, che con l’euro divennero illusoriamente “convenienti” per via di un tasso d’interesse ormai allineato a quello tedesco. Oggi, la popolazione greca, come quelle di altri stati del sud, non accetta di tornare a livelli di consumo e di vita coerenti con la realtà della sua economia. I greci, di fatto, hanno richiesto in nome della solidarietà, il mantenimento ad libitum di un sistema di trasferimenti che non potranno essere interrotti in mancanza di una volontà di cambiare il sistema statuale e amministrativo del paese. Ancora una volta, siamo di fronte a contraddizioni e pretese simili a quelle di alcune regioni del sud Italia.

Così siamo ora giunti alla resa dei conti. Le crepe che si sono aperte nella costruzione europea non possono essere più mascherate. Perché non crolli, si può solo intervenire sulla struttura. Accettare l’ulteriore intervento estetico di un nuovo piano greco senza mettere mano alle strutture portanti non risolverebbe il problema. Fatale è tuttavia anche permettere che l’Unione si disgreghi. Non vorrei essere nei panni di chi oggi negozia a Bruxelles sotto il peso della storia e degli interessi delle proprie circoscrizioni elettorali (questo dovrebbero essere ormai diventate, secondo logica, le capitali europee).

Capisco la Finlandia che in queste settimane si confronta con un’angoscia di sopravvivenza fondamentale, davanti all’attivismo russo e al disagio che cresce nella regione. Tuttavia, un’Europa in frantumi non gioverà alla difesa dei confini di Helsinki. Al contrario, li renderà più fragili. Capisco l’insofferenza del nord davanti al balletto senza costrutto di questi mesi – e degli ultimi anni. Tuttavia, la Germania seppe fare, quel 1 luglio del 1990, un grande salto nella storia; le ragioni della politica contro l’apparente razionalità dell’economia. Per la caparbietà insolente di un uomo solo. Saluti, Helmut Kohl.


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