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La sconfitta di Tsipras e la non vittoria di Bruxelles. Il commento dello strategist Sersale

Se la memoria non mi inganna, la scrittrice Agatha Christie dichiarò in un intervista ad inizio carriera che, perché un romanzo giallo possa essere considerato riuscito, la soluzione deve essere quella più ovvia, ma l’intreccio deve riuscire a farla sembrare, ad un certo punto, la più improbabile. Su queste basi, quanto avvenuto tra l’EU e la Grecia negli ultimi mesi costituirebbe un perfetto esempio di questo genere letterario.

Un summit record (17 ore) è riuscito a produrre un accordo tra la Grecia e i creditori, un epilogo che pareva quasi escluso all’inizio della scorsa settimana, ed in fortissimo dubbio per gran parte del week end. Ironicamente, è stata la Grecia a dover percorrere quasi tutta la strada necessaria per colmare le divergenze. La strategia negoziatoria di Tsipras gli si è interamente ritorta contro. Ma anche per Bruxelles i costi della battaglia sono, a mio modo di vedere, rilevanti.

L’ottimismo di venerdì era giustificato dal fatto che le proposte greche, scritte a 4 mani coi francesi, erano uguali nella sostanza a quelle di Junker sulle quali era stato indetto il referendum. Erano evidenti l’intenzione di Tsipras di compiacere Bruxelles, e l’interesse di parte dei creditori ad accordarsi. Ma sabato il clima si è rapidamente incupito, quando è emerso che la Germania e i suoi “satelliti” sembravano preferire un’uscita della Grecia dall’euro che un accordo (Schaeuble ha addirittura preteso l’inserimento della sua ipotesi di “grexit temporanea” nel comunicato dell’Eurogruppo), ed in generale vi era un’estrema sfiducia nei confronti del governo Tsipras. Apparentemente l’Eurogruppo è giunto ad uno stallo, e ha demandato al Summit di decidere il fato greco.

L’accordo, davvero pesante per la Grecia si articola su 3 cardini:

1) Una serie di misure fiscali, tra cui aumenti IVA e prelievi sulle pensioni, da approvare in parlamento entro mercoledì, per dare inizio a negoziazioni ufficiali per un nuovo programma ESM (da 81-86 miliardi), e agli esborsi di un finanziamento ponte per il periodo necessario a finalizzare il programma.

2)  Una serie di riforme strutturali e liberalizzazioni volte a rendere più efficiente il sistema e migliorare il prelievo fiscale, combattere la corruzione e l’evasione e ristrutturare il sistema bancario.

3) La creazione di un fondo a cui conferire asset greci con lo scopo di valorizzarli e privatizzarli, e con i ricavi finanziare parte delle misure citate (ricapitalizzazione bancaria,rientro del debito e iniziative per la crescita)

L’accordo prevede uno stretto monitoraggio sia dei target che delle misure varate, che devono essere pre-autorizzate, e prevede la partecipazione dell’IMF. Questi ultimi 2 aspetti costituiscono altrettante sconfitte per Tsipras, che aveva cercato di emancipare il paese dal controllo della Troika, e di liberarsi del Fondo.

Sul fronte sostenibilità del debito, l’accordo prevede l’apertura di un tavolo di confronto, a condizione che ciò avvenga all’interno di un programma ESM già approvato e che tutte le misure siano implementate. Il dibattito può riguardare scadenze e periodi di grazia, ma non tagli nominali.

In sostanza, una debacle per Tsipras, che si è trovato a firmare un accordo che viola praticamente tutte le direttive della sua piattaforma elettorale, e dal punto di vista dell’austerity è assai peggio di qualunque altra proposta il suo o altri governi avrebbero potuto firmare negli scorsi mesi.

Dulcis in fundo, l’ECB ha mantenuto invariata l’ELA, mostrando che dall’Europa non partirà un euro finché l’accordo non sarà stato approvato in parlamento e la sua implementazione non sarà iniziata.

Già, perché, i rischi connessi con l’esecuzione sono rilevanti. Tsipras ha già perso la sua maggioranza con le proposte di giovedì scorso, e visto quanto è più stringente l’accordo siglato, è assai probabile che la sua coalizione perderà altri pezzi. Ne consegue che l’esecutivo dovrà avere per lo meno un rimpasto, ed ottenere l’appoggio esterno delle opposizioni, oppure lasciare spazio ad un governo di unità nazionale. Poiché i principali partiti di opposizione (Pasok, New Democracy e Potamos) in aggregato dispongono di oltre 100 parlamentari, è assai probabile che andremo verso una di queste 2 soluzioni. Ma vista la durezza delle condizioni, un collasso del governo non si può escludere a priori, ne si può escludere un ripensamento di Tsipras (non sarebbe la prima volta), se la situazione interna diventa troppo difficile.
Per cui, per tornare alla metafora del romanzo giallo, c’è sicuramente spazio per un sequel, anche se questo non è garantito.

Alcune conclusioni:

1) Come accennato sopra, la Grecia esce massacrata dal week end, privata di sovranità, sconfessata nelle sue aspirazioni (vedi referendum), economicamente in ginocchio, e nel caos politicamente, visto che per uno Tsipras che ha fallito su tutta la linea manca al momento un alternativa credibile. Il monito non potrebbe essere più forte, per i Greci, e chiunque altro intendesse mettere in discussione le regole dell’€ ricattandolo con la minaccia di un breakout. L’uscita dall’euro non è un tabù, anzi una buona parte della regione la ritiene una soluzione migliore di altre, per gestire eventuali derive individualiste.

2) Peraltro, se non c’è dubbio che la Grecia sopporta i costi della sua scommessa persa, quasi dei “danni di guerra”, anche la vincitrice Bruxelles riporta, a mio parere, danni rilevanti. Non la perdita dell’irrevocabilità dell’euro, ormai sconfessata quando si è presa in considerazione la grexit settimane e mesi fa. Ma il fatto che una crisi “telefonata” come quella della Grecia, un paese la cui economia rappresenta meno del 3% di quella europea è riuscita a: ì) Mostrare come la solidarietà tra paesi (e tra popoli), ingrediente necessario di qualsiasi integrazione, sia merce assai rara nell’Eurozona. ii) far emergere pesanti divisioni in seno all’unione monetaria, culminate nell’Eurogruppo di ieri, incapace di produrre una soluzione, demandata poi al summit. iii) Mettere a nudo la cronica mancanza di leadership della classe politica europea, incapace di educare il proprio elettorato a scelte responsabili, perché spesso troppo intenta a seguirne gli umori.

3) In generale non sembra un quadro in grado di produrre quello “scatto in avanti” sull’integrazione necessario ad evitare che la prossima crisi ci risulti fatale, magari perché al contrario di quella greca, ci coglie in una fase congiunturale meno favorevole, è inattesa, o è di dimensioni più rilevanti.

In questo senso, mi sembra che la repressione della rivolta greca rafforzi l’unione solo nel breve, esponendola, nel lungo periodo, a rischi più insidiosi.


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