Quale effetto hanno, veramente, le sanzioni alla Russia per la crisi ucraina sulla stessa economia russa e sull’export di Stati Uniti e Unione europea? Il dipartimento di Stato americano (Office of the Chief Economist at the State Department) è intervenuto con un documento di 19 pagine per dare la sua versione, confutando le tesi di chi sostiene che le sanzioni stiano facendo crollare l’import russo e danneggiando l’export europeo, Italia compresa, a tutto vantaggio di quello degli Stati Uniti, che avrebbero aumentato la vendita di beni alla Russia usando l’Ue come “pedina” nelle loro strategie di politica estera.
In un’analisi supportata da grafici e tabelle, il dipartimento di Stato Usa sbugiarda questa accusa e cerca di dimostrare che l’effetto delle sanzioni (e delle controsanzioni) russe sulle esportazioni europee è minimo (e l’Italia è tra i Paesi meno colpiti) e che la crisi economica della Russia non ha nulla a che vedere con le sanzioni.
I PRESAGI
Il dipartimento di Stato americano in realtà non introduce concetti nuovi. A fine anno scorso un sondaggio di Bloomberg, che ha raccolto i pareri di 32 economisti internazionali, già indicava nel crollo del prezzo del petrolio la molla che stava spingendo la Russia verso la recessione. Il gruppo di esperti diceva allora che “le probabilità che l’economia russa faccia segnare nei prossimi 12 mesi una crescita negativa sono aumentate del 75%”.
Ancora a inizio 2015, il Ministero dello sviluppo economico russo metteva in guardo sul fatto che nel primo trimestre del 2015 il Pil del Paese sarebbe diminuito di oltre l’1% ancora una volta per effetto della dinamica dei prezzi del petrolio, come ribadito anche dalla consulente del Tesoro Aleksandra Prosvirjakova. La maggior parte delle entrate del bilancio russo sono date dalla vendita delle risorse energetiche e il bilancio per il 2015 è stato stilato secondo le previsioni di un prezzo di 100 dollari al barile per il petrolio. Con i prezzi del petrolio al livello di 50 dollari, è prevedibile un crollo dell’economia russa del 5%.
IL FATTORE PETROLIO
Ora gli Usa ribadiscono quei concetti: “Il crollo del prezzo del petrolio è quanto basta a spiegare la discesa della Russia nella recessione”, si legge nel report del dipartimento di Stato americano. “Il prezzo al barile del Brent Crude si è quasi dimezzato da luglio 2014 e già questo può spiegare il deprezzamento del rublo nello stesso periodo. Si calcola che un calo di 40 dollari nel prezzo mondiale del petrolio può ridurre il Pil della Russia, così dipendente dalla vendita di energia, di circa il 4-5%”.
La perdita di valore del rublo significa perdita di potere d’acquisto per gli stipendi, quindi calo dei consumi e della domanda di beni importati. Ecco come mai le importazioni russe si sono ridotte nella seconda metà del 2014 e a inizio 2015: il dipartimento di Stato americano utilizza dati della Banca centrale russa che evidenziano che si è passati da una crescita dell’8% delle importazioni nel 2013 a un trend negativo a partire dal 2014, con un vero crollo quest’anno (-40% anno su anno). Ma non è colpa delle sanzioni, bensì delle dinamiche del prezzo del petrolio. E non solo.
ALTRI FATTORI
Infatti, prima delle sanzioni, la crescita reale del Pil della Russia era già prevista in calo dal Fmi: ad aprile 2013 si stimava un aumento del 3,8%, a giugno 2014 non si arrivava allo 0,5%. Questo outlook negativo si doveva a un preciso ostacolo alla crescita russa individuato dal Fondo monetario internazionale: le mancate riforme strutturali. Nel suo World Economic Outlook di ottobre 2013 il Fmi indicava che inadeguate infrastrutture fisiche, eccessiva dipendenza dalle commodity e condizioni poco favorevoli al business abbattevano il potenziale di crescita russo. “I prezzi del petrolio in calo e le mancate riforme economiche spiegano in gran parte la flessione nelle importazioni russe. Le sanzioni possono spiegare al massimo il 20% di questa flessione”, conclude il dipartimento di Stato Usa.
EFFETTI DIRETTI E INDIRETTI
Ci sono due possibili ricadute delle sanzioni economiche sulla Russia che di solito vengono citate. Da un lato ci sono gli effetti diretti: si danneggia l’attività economica delle aziende sanzionate. Dall’altro ci sono gli effetti indiretti: le sanzioni possono contribuire a un clima di incertezza e pessimismo tra aziende e consumatori, che sono così portati a spendere meno.
Ma per gli Usa, anche qui si tratta di ricadute limitate. “Le sanzioni imposte a marzo 2014 consistono in divieti sugli spostamenti o congelamento di beni contro alcuni alti funzionari russi, non contro aziende o settori economici”, spiega lo studio. “Le sanzioni settoriali imposte a luglio e settembre hanno sì incluso banche russe e aziende dei settori energia e difesa ma si sono rivolte a settori target perché l’impatto fosse limitato nel breve periodo e potesse ampliarsi nel tempo rendendo sempre più difficile l’accesso a credito e tecnologie. Le sanzioni finanziarie hanno ridotto le opzioni di finanziamento delle banche russe e delle aziende dell’energia e probabilmente hanno aumentato l’uscita di capitali dalla Russia. Le restrizioni sul trasferimento di tecnologie e servizi a supporto dell’industria estrattiva non hanno immediato impatto macroeconomico, anzi la produzione russa di energia è lievemente aumentata negli ultimi mesi. Nessuna sanzione è stata imposta direttamente sul commercio internazionale russo”.
Quanto al clima di sfiducia, è vero che le attese dei consumatori sono crollate a fine 2014, in concomitanza con il crollo del prezzo del petrolio e l’entrata in vigore delle sanzioni settoriali. Tuttavia, la fiducia era in forte calo anche prima delle sanzioni per l’outlook negativo della crescita del Pil (dati Rosstat elaborati da Haver Analytics).
Il dipartimento di Stato americano non ha dubbi: dalle sue stime, il prezzo del Brent e il calo della fiducia dei consumatori sulle capacità di crescita del proprio Paese hanno pesato per l’88% tra 2007 e 2014 sulla contrazione dei consumi e sulla crisi russa.