Da ragazzo avevo una grande passione per i francobolli. Un giorno mi capitò tra le mani un francobollo del Reich da cinque miliardi di marchi. C’era ancora la lira, allora, ed ebbi la fugace illusione di essere diventato ricco. La delusione fu cocente quando seppi che si trattava di emissioni della Repubblica di Weimar, e quei cinque miliardi di marchi servivano per spedire una cartolina.
La storia di quella svalutazione del 29.000 percento è ancora viva nella memoria del popolo tedesco, insieme alle immagini dei cittadini che andavano a comperare il pane con la carriola piena di marchi.
La sindrome di Weimar è, probabilmente, la ragione psicologica per la quale i tedeschi, e con essi la loro Cancelliera, detestano la parola inflazione e, al tempo stesso, non sopportano chi spreca le risorse e vive al di sopra delle proprie possibilità.
Solo la sapiente e paziente azione di Mario Draghi, dimostratosi probabilmente l’unico vero cervello politico presente ai vertici Istituzioni europee, poteva convincere, con un capolavoro tattico, i suoi interlocutori ad avviare il programma di Quantitative Easing per porre fine al processo deflattivo, forse caro ai tedeschi ma negativo per la competitività e per l’intera economia europea. Aiutando così la Cancelliera a uscire dalle sabbie mobili di una situazione che rischiava di diventare insostenibile anche per lei.
Una dinamica analoga si è riproposta nella gestione della crisi greca.
Non aveva un compito facile, Angela Merkel, nell’affrontare questa sfida. Il sentire del suo popolo e, in fondo, la sua stessa storia, la spingevano ad una posizione drastica contro chi aveva vissuto di sprechi, assistenzialismo e malgoverno. Probabilmente sperava che la Grecia si chiamasse fuori dall’euro di sua iniziativa, ma sapeva anche che una scelta di questo tipo le avrebbe sollevato contro gli europeisti convinti (dei quali lei stessa peraltro fa parte) così come i populisti di destra e di sinistra, che avrebbero inneggiato alla guerra contro il comune nemico. Insomma, avrebbe avuto contro una grande parte dell’Europa.
Ha incontrato, forse per la prima volta, grandi difficoltà, ed è stata data per sconfitta. Come tutti i veri leader, ha usato il cattivo Wolfgang Schaeuble per fare la parte della mediatrice buona, ma il gioco ha rischiato di sfuggirle di mano. Alla fine ha saputo scegliere l’unica linea ragionevole, pagando certamente dazio in termini di popolarità interna e non convincendo comunque i suoi detrattori ma facendoli tacere, almeno temporaneamente. L’operazione di convincimento del Bundestag è stata un piccolo capolavoro politico.
E, ancora una volta, nell’infuriare delle polemiche che hanno attraversato l’intero continente, chi ha dimostrato sangue freddo e tenuta psicologica è stato Mario Draghi. Non cedendo mai a pericolose semplificazioni, non sbilanciandosi, rispettando i ruoli ma richiamando i valori identitari dell’Europa e l’uso delle leve finanziarie per salvare un popolo e non solo le banche, ha in realtà per la seconda volta in pochi mesi fatto da sponda alla Cancelliera. E ora, in modo sommesso ma efficace, comincia a dire una cosa poco popolare, cioè che occorre alleggerire il fardello di debiti che grava sulla Grecia. Non evocando esplicitamente, ma facendo aleggiare sullo sfondo delle proprie parole, la generosità della quale la Germania potè beneficiare dopo la seconda guerra mondiale da parte di altri Paesi europei, tra i quali la stessa Grecia.
Draghi ha dunque soccorso la Merkel, in modo più o meno concordato ma nei fatti determinante, in almeno due occasioni: l’inversione del processo deflattivo e la soluzione (almeno per ora) della crisi greca.
Una strana coppia, due personalità diverse e per molti aspetti complementari: leadership fino alla durezza e al cinismo da una parte, basso profilo e capacità di mediazione dall’altra. In comune la determinazione, il pragmatismo e la chiarezza di visione strategica.
Dico una cosa certamente in controtendenza: chissà che il rilancio reale dell’Europa economica e politica non riparta da questo strano asse Francoforte-Berlino, che è, per una volta tanto, un asse Roma-Berlino, con buona pace di Parigi. In attesa che si creino le condizioni perché ai vertici di una Europa finalmente politica non vi siano ottimi funzionari ma i veri leader.
Mario Draghi e Angela Merkel Presidente e Governatore della nuova Federazione Europea rappresenterebbero il compimento del disegno dei Padri fondatori: fantapolitica o obiettivo possibile?
Per ora, comunque, teniamoceli stretti, alla faccia di tutti gli anti-tedeschi alla Brunetta o degli ex federalisti alla Salvini che (alla faccia del grande Umberto Bossi) preferisce oggi il modello centralista di Putin a quello compiutamente e realmente federale che mette insieme, valorizzandole, grandi realtà regionali, dalla Baviera alla Renania-Vestfalia, dal Baden Wurttemberg alla Sassonia. Questi signori dovrebbero domandarsi perché la Germania è così forte e se non sia il caso di imitarla. Ma questo è un capitolo che merita una riflessione a parte.
Comunque, chi sperava di vedere passare il cadavere politico della Cancelliera dovrà aspettare ancora a lungo. Anche grazie a quel silenzioso signore che l’Italia ha prestato a Francoforte.