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Papa Francesco manda in soffitta il vecchio Keynes

Questo articolo è stato pubblicato su “Avvenire” il 23 luglio 2015

L’enciclica di Papa Francesco Laudato si’, come affermato da Stefano Zamagni proprio sulle colonne di questo giornale, si colloca in continuità con il Magistero sociale e nel contempo rappresenta una sfida molto interessante: ripensare alcune categorie economiche e politiche alla luce del primato della persona e promuovere l’implementazione di un’economia di mercato dinamica e inclusiva, contro la logica predatoria-estrattiva della rendita e del monopolio. Data la vastità del documento, mi soffermerò per cenni su due categorie: l’ambiente come “bene comune” e il “paradigma tecnocratico”.

Il riferimento al “clima” come “bene comune” (n. 23) appare estremamente interessante. Se per “bene pubblico” s’intende un bene che presenta i caratteri di non rivalità e di non escludibilità, con l’aggettivo “comune” si individua un particolare regime proprietario (la società civile) per la sua allocazione. In tal modo, Papa Francesco sembrerebbe incrociare un’interpretazione molto significativa nella letteratura delle scienze sociali, che tenta di superare la dicotomia “stato-mercato”, anche nel campo delle politiche ambientali.

Si consideri ad esempio la teoria non convenzionale dei Commons, sviluppata negli ultimi decenni dal Nobel per l’economia Elinor Ostrom, indirizzata alla ricerca di una soluzione alternativa alla suddetta dicotomia per il governo delle risorse comuni, in realtà sociali complesse. Si tratta di dar vita ad istituzioni della società civile prossime territorialmente ai problemi che attendono di essere risolti. Un simile approccio verrebbe incontro anche alla nozione di “via istituzionale della carità”, presentata da Benedetto XVI in Caritas in veritate n. 7, e ci metterebbe al riparo da un’idea di “bene comune” che si risolve nella pretesa monopolistica della politica e che vede nello “Stato” il vertice sintetico verso cui tutta l’attività umana dovrebbe tendere. Visione che si oppone a quella poliarchica del “bene comune” che invece emerge sin dalla Gaudium et spes e dalla Dignitatis humanae.

In secondo luogo, il riferimento al “paradigma tecnocratico” (nn. 106 e ss.) è di grande interesse in quanto ci dice che l’economia è naturaliter per la persona, perché nell’ambito di ciò che riguarda gli affari sociali non esiste che la persona. Solo la persona agisce, solo la persona pensa, soffre, spera, gioisce, in definitiva, solo la persona sceglie. Qualora l’economia facesse a meno dell’uomo non saremmo più di fronte ad una scienza, bensì alla pratica di qualche stravagante culto la cui liturgia si manifesterebbe nella soluzione di sofisticati esercizi matematici; ed è questo il fulcro del “paradigma tecnocratico”. Gli economisti si trasformano in improbabili dottor Frankenstein che, nel nome di poche e approssimative presunte leggi economiche, pretendono di dominare il mondo. Sarebbe interessante confrontare la critica che Papa Francesco muove al “paradigma tecnocratico”, con la stessa mossa dall’economista tedesco Wilhelm Röpke, quando stigmatizzava gli insegnamenti di Keynes e dei suoi epigoni che avevano portato a ignorare la realtà in continuo movimento del mercato nella sua pluralità (prezzi, salari, interessi, ecc.), sostituendola con «una specie di ingegneria economica, sempre più infiorata da equazioni matematiche».

Accanto a questo, un’altra possibile voce del “paradigma tecnocratico” credo possa essere identificata nel “consumismo”. È proprio del vecchio neoliberalismo keynesiano, interventista e dirigista, e che nulla ha a che fare con “l’economia libera” descritta da Giovanni Paolo II nel paragrafo 42 della Centesimus annus, porre l’accento sul consumo come motore dell’economia. Una più attenta riflessione ci aiuterebbe a riscoprire una stravagante realtà: il motore del sistema è il risparmio e le virtù che esso comporta; il risparmio investito in progetti imprenditoriali ad alto valore aggiunto, i quali sono tali se incrociano un’alta produttività del lavoro.

Concludendo, un’analisi che non sia meramente quantitativa della crescita economica, ma attenta all’autentico sviluppo umano e integrale, ci dice che, mentre il risparmio rappresenta il motore delle economie di mercato, la qualità del consumo indica la direzione che sta prendendo una determinata economia; in definitiva, se stiamo rialzando la testa o se ci stiamo tristemente suicidando.

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