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Pensioni Inps, tutte le trovate (e le fissazioni) di Tito Boeri

L’Inps (ormai divenuta succursale romana della Voce.Info), in nome della trasparenza, ha pubblicato le «liste di proscrizione» dei Fondi e delle Gestioni che erogherebbero ai loro pensionati (sulla base del calcolo retributivo) trattamenti più favorevoli rispetto ai contributi versati.

Fino ad ora, tra i «profittatori di regime», sono stati indicati soltanto lavoratori dipendenti (esposti alla gogna dell’invidia sociale). Se mai arriverà il turno dei lavoratori autonomi ne vedremo delle belle quanto a squilibrio strutturale tra contributi versati e prestazioni erogate, tanto che il colossale avanzo della Gestione separata (dove sono iscritti i «dannati della terra» del mercato del lavoro) serve solo in parte a coprire, nella logica del bilancio unitario dell’Ente, i crescenti disavanzi di quelle Gestioni.

Continua, insomma, una campagna diffamatoria nei confronti di coloro (si tratta dei titolari di poco meno del 90% delle pensioni in essere) che hanno avuto liquidato il loro assegno sulla base delle regole vigenti in quel momento, come se su di loro gravasse una sorta di «maledizione biblica», un «peccato originale» da scontare negli anni, una «responsabilità storica» da cui discolparsi davanti alle generazioni future.

Eppure (a voler guardare i problemi senza essere tentati da sentimenti di vendetta piuttosto che di giustizia ed equità) varrebbe la pena di chiedersi che senso abbia attestarsi su di una logica di corrispettività di mero stampo assicurativo tra contributi versati e prestazioni, in un sistema a ripartizione, nel quale, cioè, i primi sono serviti a finanziare i trattamenti previdenziali delle generazioni precedenti, mentre le pensioni dei contribuenti di oggi, saranno finanziate da parte dei contribuenti di domani.

Anche il sistema contributivo continua a «funzionare» a ripartizione (solo gli esteti e gli imbroglioni si azzardano a parlare di «capitalizzazione simulata»). Il meccanismo di calcolo (montante contributivo rivalutato secondo il Pil moltiplicato per i coefficienti di trasformazione ragguagliati all’età del pensionamento) è soltanto un modo (senza dubbio più lineare di quello retributivo «all’italiana», ma non sempre meno vantaggioso) per determinare l’importo dell’assegno. L’equilibrio del sistema (negli anni a venire anche quando il contributivo andrà pienamente a regime) dipenderà, tuttavia, dal rapporto tra il numero e i versamenti dei contribuenti e le pensioni erogate ovvero dalla «solita vecchia storia» dell’equilibrio tra entrate (siano esse contributive o fiscali) ed uscite (la spesa pensionistica nel suo rapporto con il Pil).

Non ha senso, dunque, attribuire ad un sistema di calcolo il destino dei pensionati italiani: l’abbondanza immeritata con il retributivo, il freddo e lo stridore di denti con il contributivo. Se così fosse non si spiegherebbe perché in Italia vi sono alcuni milioni di pensioni «retributive» integrate al minimo (finanziate dalla fiscalità generale con più di 20 miliardi l’anno). Si tratta di soggetti che hanno avuto storie lavorative discontinue, frastagliate, svolto lavori saltuari e percepito retribuzioni modeste, a cui non è bastato che la loro retribuzione pensionabile fosse quella dell’ultimo periodo di attività.

È questo il medesimo handicap di tanti giovani d’oggi, i quali, tra l’altro, sono ulteriormente penalizzati da un sistema contributivo (di cui alla legge n. 335/1995) che non si è dato carico di prevedere alcun meccanismo di solidarietà infragenerazionale come l’integrazione al minimo, nel retributivo. Questo è il limite a cui sarebbe bene provvedere, al più presto, attraverso l’istituzione di una pensione di base o il ripristino di un trattamento minimo legale anche nel regime contributivo. Il futuro da pensionati dei giovani, domani, lo si costruisce, oggi, da lavoratori, sul versante delle politiche attive e di più adeguati strumenti di protezione del reddito. Il contributivo non ha alcuna colpa.

Se poi si deve ricorrere, nuovamente, ad un contributo di solidarietà, lo si faccia con criteri di proporzionalità, stabilendo un congruo arco temporale di applicazione (queste sono condizioni di legittimità poste dalla Consulta). Si evitino, per favore, le pantomime inutili e giacobine del ricalcolo e il carattere punitivo che gli si attribuisce. Come se si dovesse ripristinare chissà quale giustizia e riparare a chissà quali torti.

E a farlo dovesse essere il neo presidente dell’Inps, Tito Boeri.

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