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Perché Bergoglio parla di Papa a tempo?

L’ammonimento recente di papa Francesco ai «leader» (con specificazione: «preferisco il termine servitori, che servono») affinché il loro incarico abbia «un tempo limitato» è stato rivolto ai laici: «leader laici», ha spiegato il pontefice. Però l’affermazione «tutti i servizi nella Chiesa è conveniente che abbiano una scadenza, non ci sono leader a vita nella Chiesa», è stato interpretato come indirizzato pure agli ecclesiastici. Ancor più è così inteso, ove si ponga mente all’ammonimento «l’unico insostituibile nella Chiesa è lo Spirito Santo», che chiaramente riguarda tutti i fedeli, vescovi compresi. E il papa?

Varie volte Bergoglio ha dimostrato apprezzamento per l’istituto del vescovo emerito, ossia il vescovo che lascia per motivi di età la diocesi. Fino a qualche decennio fa la regola era la nomina a vita, salvo abbandono volontario. Sotto Paolo VI furono introdotti limiti per gli incarichi, partendo addirittura dal diritto di partecipazione al conclave, riservato a chi non abbia raggiunto gli ottant’anni. Lo stesso Bergoglio ha reso più stringenti i limiti di età per presuli di curia.

Per quanto riguarda invece il successore di Pietro, l’attuale pontefice ha sempre fatto capire che si tratti di un ruolo peculiare, che non può sottostare a obblighi di abbandono per vecchiaia; però più volte si è espresso con toni di ammirazione verso il proprio predecessore, primo papa in età moderna a lasciare volontariamente il soglio. «Un esempio, un grande»: così Francesco aveva individuato il gesto di rinuncia di Ratzinger. E più volte ha fatto comprendere di essere lui stesso pronto a divenire un papa emerito, qualora sentisse di non essere più in grado di reggere il peso.

Non si può, va da sé, asserire che le condizioni fisiche di Giovanni Paolo II negli ultimi anni di vita abbiano spinto prima Benedetto XVI alla rinuncia, poi Francesco a dirsi pronto a imitarlo.

Tuttavia è probabile che soprattutto Ratzinger abbia compreso come a un certo momento il carico religioso (ma altresì politico) non possa essere sopportato oltre. Wojtyla, anche sul fondamento di uno studio teologico commissionato al cardinale Vincenzo Fagiolo, ritenne impossibile l’esistenza di un pontefice emerito: lo dichiarò. Quindi, trascorse gli ultimi anni in una sofferenza pubblicamente visibile. Difficilmente potranno emergere testimonianze sulle reali capacità mentali di un uomo così provato; però una delle persone che più gli furono vicine in quegli anni di dolore fisico (e di limitazioni non solo fisiche), ossia l’allora cardinale Ratzinger, a un certo momento della propria vita ritenne giusto lasciare.

Bergoglio dà l’impressione di poter fare altrettanto, anche se, stante la peculiare natura del primato petrino, non vuol sentire parlare di mandato pontificio a tempo. Esperienze di precedenti pontefici arrivati in condizioni fisiche di forte debilitazione, oltre che di non pochi laici ai vertici di singoli Stati chiaramente in condizioni di non reggere più l’incarico, inducono a riflettere sulla positività dell’istituto dell’emerito, fatto proprio da Benedetto XVI e che Francesco sembra disponibile a riprendere.

Certo, già adesso le fotografie che ritraggono i due pontefici l’uno accanto all’altro destano obiettivo sconcerto: figurarsi quando fossero tre i biancovestiti a incontrarsi.


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