Ho bevuto prosecco italiano nelle assolate spiagge di quel mare che diede la vita a Venere. Ho mangiato insalate di pomodori, cipolla e peperone condite con olio d’oliva, feta ed origano, scacciando con le mani quelle api fastidiose che poi si facevano perdonare perché generose di quel miele che a colazione addolciva uno yogurt denso e cremoso.
Ho imparato ad apprezzare un caffè dopo l’attesa che si depositi il fondo. Ho navigato in acque trasparenti da far pensare si fosse rotto lo scandaglio, così calde da farsi cullare a strascico mentre la barca avanzava. Ho ascoltato e ballato il sirtaki con poca grazia e deludenti risultati, ma in comunione con gente semplice, dalla vita a volte dura ma sempre dignitosa, che mi ha sempre trattato come un ospite e raramente come un turista.
Un Paese di cui mi sono innamorato fin dalla prima volta che ci andai molti anni fa quando, appena licenziato dal liceo, ci arrivai dopo un passaggio ponte in traghetto, moto stracarica, poca grana e gran voglia di avventura. Un Paese che è il mio, come lo è quello ad altre latitudini, quell’isola con un continente così vicino che sembra sempre più lontano, bagnata da un mare e da un oceano. Ed è mio ovviamente pure quello che mi diede i natali, un po’ di fantasia e fortuna.
Sono italiano e britannico. E’ casa mia in quel di Londra così come a Milano o in Brianza. E mi sento anche un catalano. Certamente sono un greco che vorrebbe avere avuto una Cancelliera teutonica ai tempi dell’ingresso del suo Paese nell’euro, invece di quei quattro politicanti che falsarono i conti e degli altri che poi finsero di non vedere che il mio Paese era fallito, prescrissero una terapia che funzionò talmente bene da trasformare il malato in un moribondo che quasi anela all’eutanasia.
E come greco oggi ci provo ma è difficile, non riesco proprio ad avere simpatia per quella Signora e per molti che stanno ciacolando sul mio futuro senza aver mai visto di persona il Partenone, discutendo su colpe e responsabilità arcaiche e recenti, su numeri e debiti quando invece dovremmo tutti guardarci negli occhi e nell’anima per scoprire se davvero, oltre a tutta la miseria e modestia contingenti, c’è ancora spazio per un progetto comune di unità e solidarietà tra italiani, britannici, tedeschi, spagnoli, francesi, olandesi, rumeni… insomma, tra europei. E se scopriamo che c’è, basta tentennamenti, chiacchiere e regolamenti di poco conto.
Il mondo è cambiato ed è scaduto il tempo, da europei diamoci una mossa!