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Perché l’Europa non deve temere troppo per lo sgonfiamento della Borsa cinese

OBOR, cina venezie

La Cina e le commodities continuano a tenere i mercati sulle spine. L’inizio di settimana è stato reso assai burrascoso da un nuovo crollo dei mercati locali cinesi.

Shanghai, dopo aver aperto a -2% ed aver trascorso il grosso della seduta poco distante dai livelli di apertura, si è resa protagonista nella parte finale della seduta di una frana, conclusasi a -8.5%, il peggior risultato giornaliero dal 2007. Due terzi dei titoli dell’indice sono stati nuovamente sospesi al ribasso, e c’è da giurare che domani avremo un’altra robusta messe di margin calls sugli investitori locali.

Nessun catalyst preciso è stato riportato per l’avvitamento del sentiment. Certo, gli industrial profits di giugno (-0.3% da precedente + 0.6%) son tornati a scendere dopo 2 mesi di salita. Ma anche messo insieme col PMI di venerdi non giustifica il massacro.

Il crollo delle commodities sta finendo per creare un circolo vizioso: scendendo, alimentano preoccupazioni sul quadro macro cinese, il cui incupirsi crea i presupposti per ulteriori liquidazioni di petrolio, rame etc.

Ampio il contagio sugli indici dell’area, con Hong Kong oltre il -3% e Taiwan a -2.5%. D’altronde, non potendo vendere liberamente le blue chips cinesi per via delle restrizioni, gli istituzionali si sono sfogati, per ridurre il rischio di portafoglio, su quanto poteva essere liquidato.

Vediamo se ci sarà, e quando arriverà la reazione delle autorità. In fin dei conti gli schemi per sostenere il mercato sono stati messi in piedi, e mi pare che la situazione lo richieda. E recentemente sono state varate varie misure di easing fiscale e monetario, i cui effetti si doivrebbero vedere a breve.

La risk adversion di origine asiatica ha avuto un pesante effetto sui mercati europei oggi, per motivi non del tutto ovvi (almeno al sottoscritto). Un forte rallentamento cinese rappresenta ovviamente un ostacolo formidabile per la crescita globale e quindi per la ripresa europea. Ma il crash dell’azionario cinese sembra più una brusca normalizzazione che segue una fase di eccessiva euforia, che non repricing della crescita. E non c’è dubbio che eventuali scostamenti dal target ufficiale verranno affrontati con robuste dosi di stimolo.

Il crollo delle commodities ha sicuramente un impatto di breve sui settori ad esse collegati (vedasi la performance del Eurostoxx Basic Resources la scorsa settimana). E poi c’è il rischio deflazione, nemesi delle economie, che si riaffaccia.

Ma l’Europa è assai meno esposta di altre aree al primo rischio, non avendo, ad esempio, un esposizione al greggio simile a quella degli USA, con la loro Shale Industry (non a caso, in seguito al movimento del greggio, il sottosettore energy dell’indice dei corporate High Yield statunitensi è tornato sui livelli di spread osservati a dicembre, oltre 800 basis points di spread).

In realta’ l’Eurozona è ben posizionata per avvantaggiarsi del calo delle commodities, essendo principalmente consumatrice. Quanto al rischio deflazione, in Europa abbiamo il QE (aumentabile alla bisogna) e stiamo raccogliendo i frutti di una svalutazione del 20% della divisa. Dovremmo essere decisamente al riparo, più di altri, da questo rischio.


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