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Renzi all’Assemblea Nazionale del PD. Alcune riflessioni.

Sabato 18 luglio si è tenuta l’Assemblea Nazionale del PD all’EXPO di Milano. Per me è stata la prima esperienza come delegato. In questo spazio vorrei esprimere qualche considerazione sull’incontro e sulle promesse che il Segretario/Premier ha fatto.

Devo dire, prima di tutto, che sono rimasto positivamente colpito dal clima generale. Mi immaginavo qualche cosa di più disordinato invece ho trovato ordine. Una scansione dei tempi e delle cose da fare molto precisa tuttavia con un intervento fiume di oltre 1 ora e 30 minuti Matteo Renzi si preso gran parte del tempo a disposizione penalizzando il dibattito. Ci ha raccontato la sua Italia e la sua idea di Paese. Una narrazione accompagnata da immagini ad effetto. Lo scopo era di imprimere le parole nelle menti degli spettatori. Personalmente non ho trovato la cosa molto efficace né interessante. Ho ritenuto l’intervento troppo lungo e troppo povero di dettagli. Certo, una narrazione che ha lo scopo di stupire, non ha bisogno dei dettagli. Ma in un’Assemblea Nazionale mi aspettavo esattamente questo: dettagli, spiegazioni, dati e via dicendo.

La sala era piena e molto disciplinata. Non ho visto ovazioni. L’unico momento di accorato applauso è stato quando è apparsa la foto della bambina con il peluche. Una reazione di pancia che però non aggiunge nulla alla sostanza delle discussioni.

Al di là del rito della comunicazione ci sono poi alcuni contenuti che vanno attentamente discussi. Ho reputato positivamente le intenzioni di Matteo Renzi di impegnarsi maggiormente sul fronte delle politiche dell’integrazione e della migrazione così come sulla questione dell’integrazione europea. C’è molto da lavorare e sicuramente l’Italia non può farcela da sola. Serve una vera Europa unita, politicamente e socialmente.

Ho invece valutato un azzardo quello sull’abbassamento delle tasse. Una manovra di 50 miliardi di euro in tre anni per abolire la tassa sulla prima casa a tutti, indiscriminatamente. L’imu su terreni agricoli e capannoni industriali. E così via. La direzione non è quella giusta. La tassa sulla prima casa non può essere abolita per tutti. Deve prevalere una ragionamento diverso, lo si dice da tanto tempo. Ho trovato anche poco giusto usare la dicitura “partito delle tasse” per riferirsi al PD degli anni passati. Certo erano le parole di Silvio Berlusconi, ma aver ripreso questo concetto non mi è piaciuto. L’esenzione dal pagamento di certe tasse deve essere legato a una questione di “capacità contributiva”. Chi ha una villa o una casa di lusso che figura come prima casa deve pagare. Chi non ha un reddito decoroso non deve pagare e in modo comunque progressivo, come sancito dalla Costituzione. Ci vogliono dei distinguo molto chiari. In questo si può distinguere una politica di centro-sinistra da quella di centro-destra. Non può valere l’idea del “meno tasse per tutti”. Questo è populismo alla Berlusconi che io rigetto.

Chi ha deve pagare. Chi non ha deve essere sostenuto nella sua vita di tutti i giorni. La maggior parte degli italiani possiede una propria abitazione ed è certo vero che il tetto sulla testa è un diritto. Ma sappiamo anche molto bene che di quell’80% c’è una parte che vive con stipendi bassi o medio bassi e gente che vive con stipendi alti o altissimi. In quell’80% c’è di tutto. Allora è il caso di dire: aboliamo la tassa sulla prima casa a tutti quelli che hanno un reddito annuo inferiore a X Euro. Questo è sensato, questo è giusto e io appoggerei senza dubbio l’azione del Segretario. Dire: aboliamo la tassa sulla casa a tutti, e con tutti significa pure a un Marchionne o un Montezemolo qualsiasi, dico convintamente no! C’è anche da dire che parlare ora di abbassamento delle tasse potrebbe essere una pura strategia comunicativa con cui si vuole rafforzare la retorica secondo cui: la crisi è finita e stiamo andando bene. Sarà così?

Alcuni interventi critici hanno messo in luce poi un punto molto importante della questione. È stato Daniele Viotti, europarlamentare del PD ed esponente del gruppo ReteDem, a chiedere a Matteo Renzi: prima di dire meno tasse per tutti, facciamo in modo che tutti paghino le tasse. Goal!

Non una parola è stata spesa da parte del Segretario sulla questione dell’evasione fiscale. Non una parola sulla questione legalità. Una svista o una strategia? Evitare di parlare della questione cruciale perché non si hanno idee su come risolverla o perché si sa che parlarne è giusto ma non dà consenso? In entrambi i casi lo valuto molto negativamente.

Una lotta all’evasione fiscale è l’unico modo per poter poi procedere con una giusta redistribuzione delle risorse e un abbassamento, anche consistente ed esteso, della pressione fiscale. Ma capite bene che con oltre 130/160 miliardi di evaso all’anno l’Italia non può davvero ripartire. Poi, aspetto molto più tecnico, non ci è stato detto come si intendono trovare quei 50 miliardi con cui abbassare le tasse. Mica un problema secondario!

Non ho poi gradito l’aver connesso l’abbassamento delle tasse con l’approvazione della riforma del senato: voi votatemi quello che vi chiedo e io poi abbasso le tasse. Non è certo un invito ai deputati, ma un monito ai cittadini: la caramella ve la do solo se ottengo questo e questo. E se non ottengo questo e questo la colpa del fatto che voi non abbiate la caramella, non sarà mia! Ma di quei cattivoni che in Parlamento non hanno fatto quello che volevo.

E poi arriviamo al punto più critico e anche assurdo della discussione: l’affermazione secondo cui non c’è interesse ad occuparsi del partito. Ma come? E allora che cosa sei a fare Segretario politico del PD se non vuoi occupartene? Non a caso questa cosa ha fatto borbottare anche alcuni delegati della sua stessa mozione.

Ma insomma Matteo, guarda che del partito te ne devi occupare e anche molto! Ormai l’Unità del PD è diventata una mission. Un vero e proprio obiettivo politico. E tu sei obbligato come Segretario a fare di tutto affinché l’unità sia mantenuta. Dici poi che non hai interesse per le correnti e le correntine. Giusto! Ma occuparsi del partito non vuol dire gestire le correnti interne del partito, ma trovare sintesi politiche tra le varie posizioni. Non è un lavoro facile, ma dopotutto hai avuto un’investitura alle primarie che ti ha dato questo incarico: rispettalo, assolvilo!

Per me, ma forse sbaglio, la leadership si misura sulla capacità di gestire il consenso non meno del dissenso. Dell’assumersi le responsabilità che si hanno per raggiungere obiettivi che producano il massimo beneficio per tutti, anche a costo di estenuanti discussioni sul nulla e sul poco, purché ci sia l’affermazione del primato dell’impegno e della partecipazione sulle scelte verticistiche, interessate e personalistiche.

Alla base di questo cortocircuito individuo la compresenza di ruoli Segretario/Premier. Credo che sia, ora come ora, un problema e un limite. Come Premier Matteo Renzi deve pensare all’interesse generale che riguarda l’Italia, come giustamente ha detto lui stesso. E questo comporta lo scendere a compromessi con forze politiche anche opposte. Ma certo ci sono diversi modi di farlo, diversi gradi di azione. Affidarsi a un Verdini qualsiasi non mi sembra comunque una scelta saggia. Ciò causerà un ulteriore logoramento nella parte a sinistra del partito e sarà ovvio. Lo diceva bene il prof. Piero Ignazi all’incontro fondativo di ReteDem a Roma, il 12 luglio 2015. Spostarsi al centro nella convinzione di prendere consenso a destra è un errore politico e strategico: si perdono consensi a sinistra e non se ne prende nessuno a destra. A Sinistra si arrabbieranno perché il Segretario del PD si è “sporcato” le mani con soggetti complici, da oltre vent’anni, del disastro sociale ed economico italiano, la destra di Berlusconi e a Destra continueranno a trovare chi fa la destra meglio di uno che arriva dalla “sinistra”.

Come Segretario di partito, dopotutto, deve occuparsi del bene del Partito e quindi cercare di fare gli interessi della sua base e perseguire politiche che siano di “centro-sinistra”. Diciamo, socialdemocratiche. O tiene insieme le due cose, o ci saranno sempre conflitti e tensioni e perdite di consenso nella parte tradizionale del suo stesso partito.

Le due cose contemporaneamente forse non vanno davvero bene, per questo c’è quello che definisco un cortocircuito. Una separazione delle funzioni sarebbe forse meglio. Certo, si può anche considerare la cosa come una grande sfida: se poi riesce a fare entrambe le cose, ma a farle bene, allora Matteo Renzi ha fatto bingo: primeggerà come leader su tutti gli altri.

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