Prima della mezzanotte di giovedì 9 luglio, la Grecia ha presentato un nuovo programma che include riforme strutturali, in modo tale da poter ottenere un nuovo piano di salvataggio (il terzo) e di rimanere all’interno dell’Eurozona.
I creditori hanno esaminato questo programma e lo hanno sottoposto al Ministero delle Finanze dell’Eurozona. Dopo un fine settimana molto intenso e ricco di difficili negoziazioni (compresa la notte tra domenica 12 e lunedì 13 luglio), i leader dell’Eurozona hanno finalmente raggiunto un accordo che prevede un nuovo piano di salvataggio per la Grecia.
Si è giunti ad un accordo apportando stravolgimenti alle condizioni e attraverso una stretta sorveglianza. Tuttavia, molti provvedimenti dovranno ancora essere votati dal parlamento greco.
In particolare, le autorità greche necessitano di: (1) attuare ambiziose riforme in materia di pensioni, (2) adottare riforme altrettanto ardite nei mercati dei prodotti e nel mercato del lavoro, (3) privatizzare la società elettrica (ADMIE) e (4) rafforzare il settore finanziario (“eliminazione di ogni possibile interferenza politica”).
E devono intraprendere le seguenti azioni: (1) sviluppare un “significativo programma di privatizzazione su larga scala che sia caratterizzato da una migliore governance”, (2) “modernizzare e rafforzare in maniera sostanziale l’amministrazione greca” mettendo in atto un programma”, sotto l’egida della Commissione Europea, che miri al potenziamento delle capacità e alla de-politicizzazione dell’amministrazione greca”, (3) “normalizzare pienamente i metodi di lavoro con le istituzioni”.
Gli asset greci ritenuti valuable (di valore) dovranno essere trasferiti ad un fondo indipendente “che monetizzerà gli asset attraverso privatizzazioni e altri mezzi. Tale monetizzazione costituirà una risorsa per il rimborso del nuovo prestito previsto dell’European Stability Mechanism (ESM) e genererà, complessivamente e per l’intera durata del nuovo prestito una somma obiettivo di 50 miliardi di euro, di cui 25 saranno impiegati per la ricapitalizzazione delle banche e altre attività, il 50% della parte restante (ovvero il 50% dei 25 miliardi di euro) sarà usata per ridurre il rapporto debito/PIL e il restante 50% sarà utilizzato per gli investimenti”.
Questo fondo sarebbe stabilito in Grecia e sarebbe gestito dalle autorità greche sotto il controllo delle Istituzioni Europee competenti. L’Euro Summit “prende atto delle possibili esigenze di finanziamento del programma comprese tra gli 82 e gli 86 miliardi di euro”. Si noti che in base all’accordo, le banche dovrebbero essere ricapitalizzate. La ristrutturazione del debito farebbe parte dell’accordo (con riscadenziamento e possibili prolungati grace period, senza però alcun taglio al valore nominale); tuttavia si giungerebbe a tale accordo solo dopo la piena attuazione delle misure da concordare.
La ristrutturazione del debito sarà dunque presa in considerazione solo “dopo un primo completamento positivo della review”. Infine, “per aiutare la crescita e sostenere la creazione di occupazione in Grecia (nei prossimi 3-5 anni), la Commissione lavorerà in stretta collaborazione con le autorità greche per mobilitare fino a 35 miliardi di euro (sotto svariati programmi dell’Unione Europea) al fine di finanziare gli investimenti e l’attività economica, incluse le PMI”.
Cosa accadrà dopo?
– La palla è nel campo del governo greco, che ha tempo fino a mercoledì per ottenere un’approvazione definitiva del Parlamento circa le nuove richieste dell’Eurogruppo. La Grexit non è più considerata possibile (a meno che il Parlamento greco respinga l’accordo).
– E’ inoltre probabile che il Parlamento greco voti a favore dell’accordo (forte sostegno sia da A. Tsipras che dall’opposizione). Si noti che è forse inevitabile una riorganizzazione del governo, al fine di formarne uno di maggiore unità nazionale.
– Si rischia che la coalizione tedesca faccia passare l’accordo, dal momento che vi è un forte sostegno di Angela Merkel (voto previsto per venerdì 17 luglio). C’è ancora qualche incertezza politica riguardante il processo di approvazione da parte dei diversi parlamenti europei (inclusi Paesi Bassi, Austria e Finlandia). Un voto parlamentare potrebbe essere necessario anche in Portogallo, Estonia e Slovenia.