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Telecom, ecco le vere mire di Bollorè

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Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’analisi di Tino Oldani apparsa su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

Quando aveva appena 23 anni ha sfilato l’azienda di famiglia al padre e a due zii senza che questi se ne accorgessero. Oggi, a 63 anni, il bretone Vincent Bolloré è un finanziere celebre a livello mondiale, uno degli uomini più ricchi al mondo grazie a una fortunata carriera di raider, che l’ha visto acquistare e vendere con successo numerosi pacchetti azionari di importanti aziende francesi.

Ai successi in campo finanziario, ne ha aggiunto molti altri in quello industriale, così che il gruppo Bolloré si presenta come una conglomerata di livello mondiale (11 miliardi di fatturato, 600 milioni di utili), che opera in Europa e in Africa in diversi settori (energia, agroalimentare, trasporti, logistica), ai quali si sono aggiunti di recente due settori proiettati nel futuro: media e telecomunicazioni. La sua ambizione, come spiega un bel libro di Fiorina Capozzi («Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei»; ebook edito da goware e key4biz), è di diventare il Rupert Murdoch d’Europa, vale a dire il maggiore editore di tv e giornali del vecchio continente. Una sfida che lo vede protagonista non solo in Francia (dove controlla Canal+), ma anche in Italia, dove è appena diventato il maggiore azionista privato (14,7%) di Telecom Italia attraverso Vivendi, una sua società.

È dunque inevitabile che in futuro si parli molto di Bolloré, visto che Telecom Italia è coinvolta in un paio di progetti strategici.

Il primo è quello della banda larga, con il quale il governo di Matteo Renzi punta a colmare il ritardo dell’Italia nell’economia digitale, settore dove è impossibile prescindere dalla rete dell’ex monopolista telefonico. Un disegno che sarà più chiaro quando si conosceranno le prossime mosse del nuovo vertice della Cdp (Cassa depositi e prestiti).

Il secondo progetto, intrecciato al primo, riguarda la tendenza sempre più diffusa a livello mondiale di mettere insieme le reti telecomunicazioni con i produttori di contenuti (mediatici e televisivi), senza escludere le sinergie con la pubblicità. Nel caso dell’Italia, ciò potrebbe dare vita a un intreccio sempre più solido tra Vivendi, Telecom Italia e la Mediaset di Silvio Berlusconi, un’alleanza di cui si sono avuti nei giorni scorsi i primi annunci. Dunque, due partite da seguire con attenzione, cominciando a conoscere meglio i protagonisti, Bolloré in testa.

La sua carriera, rivela il libro di Capozzi, iniziò con «un inganno familiare». L’azienda di famiglia produceva carta sottile per sigarette, in una piccola cittadina della Bretagna. Michel Bolloré, padre di Vincent, la guidava con i fratelli René e Gwenn, ma gli affari peggioravano ogni anno. Per evitare il peggio, era urgente cambiare registro, compiere un salto tecnologico, e buttarsi nella produzione di carta metallizzata sottile, da usare nei condensatori. Ma il padre e gli zii, divisi da contrasti, non riuscivano mai a prendere una decisione, e il rischio che l’azienda finisse a gambe all’aria era evidente. Fu a quel punto che il giovane Vincent, ultimo di cinque fratelli, entrò in gioco, agendo dietro le quinte.

All’epoca lavorava a Parigi in una banca d’affari, e in poco tempo aveva capito come funziona la finanza d’assalto. Così preparò una bozza di piano per il rilancio della cartiera Bolloré e, insieme a un fratello, lo sottopose al barone Edmond de Rothschild, banchiere tra i più potenti, che aveva un fiuto eccezionale per i giovani talenti. Anche se l’affare era di poco conto per la sua banca, il barone stette al gioco e finanziò la scalata del giovane Vincent all’interno della famiglia. Per Bolloré fu il primo colpo finanziario di una lunga serie, che ha avuto come teatro la Borsa di Parigi. A fargli da maestro in quella che è definita (con riferimento alle sue origini) la tecnica delle «pulegge bretoni» (in Italia, scatole cinesi) è stato il banchiere Antoine Bernheim, l’inventore del «capitalismo senza capitali». In pratica, l’arte di controllare una società attraverso altre società paravento, con un investimento minimo. Un gioco dove l’allievo ha superato il maestro, fino a guadagnarsi la fama di «principe del cash flow». Fu sempre il vecchio Bernheim, che lo considerava un proprio pupillo, a spianargli anche la strada per la discesa in Italia, dove nel 1999 acquistò un robusto pacchetto di azioni Mediobanca, che mantiene tuttora (7,46%, secondo azionista privato).

Grazie al vecchio maestro, Bolloré ha potuto allargare anche il ventaglio delle amicizie influenti, comprese quelle politiche.

In Francia è sempre stato vicino a Nicolas Sarkozy. In Italia Bernheim lo presentò a Silvio Berlusconi, al quale è legato da un’amicizia personale quasi ventennale. I due hanno poi un amico comune in Tarak Ben Ammar, finanziere franco-tunisino, che siede nel consiglio di sorveglianza di Vivendi, rappresenta i soci esteri nel Cda di Mediobanca e dal 1985 affianca Berlusconi nei contatti con la Francia e con la finanza araba. Fu lui, nel 1995, su incarico di Berlusconi, a sondare Rupert Murdoch e il principe saudita Al Waleed per negoziare l’eventuale cessione del gruppo Mediaset, quando il Cavaliere scese in politica. Allora non se ne fece nulla. Ma ora il suo ruolo di mediatore tra Vivendi, Mediaset e Telecom Italia sembra riproporsi, per ridisegnare la geografia del potere mediatico in Italia, e non solo quello. Ne riparleremo.


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